Sono passati oramai dieci anni da quando, nel duemila, l’unanimità delle nazioni riunite all’interno dell’Assemblea Generale dell’ONU, ha approvato gli otto obiettivi di sviluppo: combattere la fame, la disparità tra i sessi, la mortalità infantile, l’HIV/AIDS e, al contempo, migliorare l’accesso ai servizi pubblici essenziali, quali l’istruzione e la salute.
La dichiarazione del Millennio ha segnato una svolta nella lotta alla povertà. Per la prima volta, infatti, i paesi ricchi e i paesi poveri del mondo hanno deciso di unire i propri sforzi per sradicare la povertà.
Molte organizzazioni internazionali sostengono la strategia delle Nazioni Unite nell’incoraggiare i leader mondiali a mantenere le loro promesse per salvare la vita di milioni di bambini e di madri nei Paesi in via di sviluppo. Fra queste organizzazioni, l’Alleanza Evangelica Mondiale (AEM) e il Network di Michea hanno organizzato una campagna globale per mobilitare i cristiani contro la povertà: la Sfida di Michea. Questa mobilitazione rappresenta la cornice di fondo della nostra azione.
I progressi degli ultimi anni sono incoraggianti, ma con rinnovata determinazione è possibile fare di più. A dieci anni dall’inizio della campagna di mobilitazione internazionale, si è visto, infatti, che ci sono stati dei miglioramenti per quanto riguarda il raggiungimento di alcuni obiettivi, mentre altri – probabilmente - non saranno raggiunti. Lo stesso piano di azione è stato parzialmente eluso: inizialmente sottoscritto per il periodo 2000-2015 richiedeva da parte delle nazioni ricche, un impegno minimo fissato allo 0,7% del loro PIL. Qui le assenze sono numerose e pesanti e l’Italia stessa si è posizionata all’ultimo posto tra i paesi donatori.
La filosofia di assistenza internazionale espressa nella “dichiarazione del millennio” delle Nazioni Unite è ambiziosa e pragmatica. Ancora oggi, però, più di un miliardo di persone patisce ogni giorno cercando di sopravvivere, e dieci milioni di bambini muoiono di fame ogni anno.
La recente fase di difficoltà economica globale ha poi introdotto nuovi elementi di complessità, rendendo più difficile il raggiungimento dei traguardi. La profondità della crisi ci ha inoltre confermato come lo scenario globale futuro non potrà che rimanere profondamente legato a un modello di sviluppo basato sui diritti umani, dove il rispetto delle differenze culturali rappresenta una ricchezza e non un ostacolo, dove dobbiamo prendere atto del ruolo negativo dei cambiamenti climatici e della riduzione delle biodiversità e, di converso, occorre riconoscere e rilevare il ruolo centrale delle donne nei processi democratici di crescita.
Come cittadini responsabili, abitanti e beneficiari di un mondo sviluppato e privilegiato, abbiamo di fronte una scelta decisiva: non voltare le spalle al quinto della popolazione globale che soffre e allo stesso tempo diventare protagonisti della soluzione. L’impegno per un mondo migliore deve continuare con fermezza e lungimiranza.
A tal fine:
Vicenza, 10/10/10