Gli evangelici e le "unioni di fatto"

Una dichiarazione della Commissione etica e società dell'Alleanza Evangelica Italiana

Il dibattito sulle unioni di fatto si è riacceso in modo vistoso e tutto fa pensare che il tema sarà al centro dell'attenzione nei prossimi mesi e anni. Dentro l'espressione "unioni di fatto" ci sono fenomeni diversi che vanno dalle relazioni di solidarietà tra persone sole, unioni omosessuali, relazioni eterosessuali al di fuori del matrimonio, ecc. Di queste differenze bisogna tenere presente anche se si possono individuare denominatori comuni tra le diverse forme di unioni di fatto.

 

In particolare, sulla questione dell'omosessualità, l'Alleanza Evangelica Italiana ha pubblicato nel 2004 il documento "Omosessualità: un approccio evangelico" al quale rimandiamo per un orientamento sulle prospettive bibliche, gli interrogativi etici e i risvolti sociali dell'omosessualità.

Riprendendo quegli elementi e ampliandoli alla questione delle unioni di fatto, sottolineiamo quanto segue, offrendo questi spunti per una discussione ricca e partecipata:

1. Per la Bibbia, la famiglia ha come nucleo il matrimonio di un uomo e di una donna i quali si uniscono volontariamente e pubblicamente in vista di un progetto condiviso all'insegna della solidarietà e della fedeltà. Altre unioni che comportano rapporti sessuali sono considerate fornicazioni e adulteri e viste come effetti del peccato. Chi vuole seguire Gesù Cristo in una vita di discepolato deve aprirsi ad un cammino di santificazione che, tra l'altro, comporta l'abbandono di relazioni sessuali al di fuori dal matrimonio. Nella chiesa deve vigere questo quadro normativo di libertà e di verità.

2. La Bibbia riconosce la distinzione tra chiesa e stato e non impone la morale cristiana all'insieme della società. Lo stato laico non deve ingerire nella vita dei cittadini per quanto attiene le libere scelte di vita e deve regolare le relazioni per quanto riguarda gli effetti civili, sociali ed economici. In più, le persone non devono essere costrette ad abbracciare la visione cristiana del matrimonio dallo stato né dalle chiese. Pur restando netto il giudizio biblico su tutte le forme di fornicazione e di adulterio, la Bibbia riconosce la libertà e la responsabilità di ciascuno.

3. Siccome nella società contemporanea si registrano forme diverse di convivenza e di unione, lo stato ha la responsabilità di fissare alcuni paletti per impedire distorsioni e discriminazioni. In ogni caso, per quanta attenzione si debba prestare alle nuove tipologie di unione, la concezione della famiglia "fondata sul matrimonio" (art. 29 Cost.) va mantenuta in quanto all'assunzione di responsabilità pubblica da parte dei coniugi deve corrispondere un riconoscimento pubblico da parte della società.

4. Il riconoscimento delle unioni di fatto non deve confondere questo tipo di unione col matrimonio. Sono cose diverse da un punto di vista sociale, relazionale e progettuale. La via spagnola che parifica tutte le unioni appiattisce pericolosamente la diversità tra fenomeni. Occorre rispettare la specificità del matrimonio e non appiattirla a una generica sottospecie di forma organizzata di convivenza.

5. L'unione di fatto non deve essere considerata un patto (come nel caso francese dei PACS), bensì un contratto di convivenza. Il patto evoca un impegno "forte" in vista della continuità nel tempo. L'unione di fatto è una relazione più "leggera", con condizioni rescissorie veloci e semplificate, con investimenti relazionali minori. Perché voler annacquare il significato di "patto" che implica dedizione e fedeltà, stabilità e durata? Per le relazioni di fatto sarebbe meglio parlare di "unioni" e lasciare stare l'idea di patto che appartiene al matrimonio. Non si tratta solo di una questione di termini, ma anche di ordine simbolico.

6. Il riconoscimento delle unioni di fatto deve regolare il trasferimento di diritti tra le persone coinvolte in caso di eredità, di reversibilità delle pensioni, di intestazioni di contratti, ecc. Alcune di queste misure sono già possibili nell'ordinamento attuale, mentre altre sarebbero disciplinate con un'apposita legge. Inoltre, un eventuale provvedimento legislativo sulle unioni di fatto deve riconoscere i soggetti coinvolti come uniti in una relazione affettiva e permettere il loro coinvolgimento nell'assistenza reciproca e in tutte le forme di solidarietà che i soggetti possono esprimere l'uno nei confronti dell'altro.

7. Il riconoscimento delle unioni di fatto non deve prevedere la possibilità di adozione di minori da parte delle coppie di fatto, siano essere eterosessuali o omosessuali. Essendo la procreazione un progetto di genitorialità che implica un impegno relazionale "forte" tra i coniugi, l'unione di fatto non è di per sé uno spazio relazionale che può essere investito di funzioni genitoriali.

8. Il valore culturale e sociale della famiglia, le cui prerogative sono riconosciute anche dalla Costituzione italiana (artt. 29,30,31), deve essere salvaguardato e promosso. Il riconoscimento delle unioni di fatto non deve distrarre risorse dalla già esangue politica a sostegno della famiglia. La coesione sociale (anche intergenerazionale) promossa dalla famiglia è sostanzialmente diversa da quella delle altre tipologie di coppia. Ad esempio, le coppie con figli devono mantenere la priorità nelle assegnazioni di case popolari e nell'ottenimento di sussidi sociali.

Roma, 18 settembre 2005