Francesco Spiera (1502-1548)

 Nato a Cittadella (PD) all’inizio del Cinquecento, avvocato di professione, intorno ai quarant’anni Spiera cominciò a interessarsi di teologia.

 Il 15 novembre 1547, insieme al nipote Girolamo Facio, fu denunciato al Tribunale dell’Inquisizione di Venezia per idee luterane. Era accusato di opinioni eterodosse riguardo al Sacramento dell’Eucaristia, al rito della messa, ai suffragi dei morti, all’intercessione dei santi, alla confessione auricolare, all’autorità del Pontefice e dei prelati, nonché al valore delle opere. Fu inoltre accusato di aver frequentato Pietro Cittadella e di aver tradotto liberamente il Pater noster.

   Il 9 dicembre 1547, la deposizione dei cinque sacerdoti firmatari della denuncia fu inviata al tribunale dal vescovo di Vicenza, e il 17 dicembre fu presentata contro i due un’ulteriore denuncia per comportamento irreligioso.

   Il 13 maggio, arrivò l’ordine di comparizione davanti al Tribunale dell’Inquisizione, e il 24 dello stesso mese, Spiera subì il primo di tre interrogatori in cui respinse ogni addebito, attribuendo le accuse fatte contro di lui alla persecuzione di “adversari et inimici”.

   Tuttavia, ammise di possedere una Bibbia, di aver visto “el benefitio de Cristo et la doctrina nova et vecchia et ... altri libri moderni”, di aver nutrito qualche dubbio sul Purgatorio, rimettendosi comunque “all’opinione che tiene la Santa madre giesia” se qualche pensiero da lui espresso non fosse stato completamente secondo i suoi insegnamenti.

   Anche nella seconda deposizione si mantenne più o meno sulla stessa linea difensiva, ma confermò di aver tradotto il Pater noster in volgare. Nella terza deposizione negò di aver tenuto un’opinione diversa da quella della Chiesa riguardo all’assoluzione sacerdotale e, poiché non aveva ancora esposto la sua difesa, il tribunale gli concesse altri otto giorni per prepararla. Dopo soltanto cinque giorni, si presentò spontaneamente, e, ammettendo di aver dubitato di diversi insegnamenti della Chiesa (eucaristia, confessione auricolare, autorità papale), chiese clemenza.

   Dalla lettura degli atti processuali non è facile comprendere fino a che punto le affermazioni rispecchino le opinioni personali di Spiera. La sua successiva dichiarazione di essersi risolto “di voler dissimulare” potrebbe spiegare la sua insistenza nel volersi rimettere in tutto all’insegnamento della Santa madre Chiesa.

   Tuttavia, altre dichiarazioni appaiono più sincere. Il fatto che la sua strategia difensiva sia consistita più che altro in un’ammissione di colpa con richiesta di clemenza, fa pensare che il desiderio di “conservare la moglie, i figliuoli, la roba e la vita” abbia pesato molto sulla sua decisione di abiurare.

   Il 26 giugno, nella cappella di S. Teodoro nella Chiesa di S. Marco, in una seduta solenne, presente il legato apostolico Giovanni Della Casa, Spiera recitò l’atto di abiura: “Voluntariamente et liberamente con il core et con la bocca confesso haver gravemente errato...”.                     Il giorno stesso ricevette l’assoluzione, ma gli furono comminate una serie di pene pecuniarie, oltre all’imposizione di “far cantar solennemente una messa ad honor et reverentia del Corpus Domini” e un’altra per i defunti.

   Il resto della vicenda di Spiera fu raccontato da Vergerio e dagli altri testimoni della sua lenta agonia.

   Mettendo a tacere la propria coscienza, il 1° luglio fece il secondo atto di abiura in chiesa a Cittadella, ma subito dopo “si sentì percosso dalla man di Dio; sentì che gli furono tolti i doni dello Spirito, la confidenza e la speranza nel Signore, e sentì un orrore e ispavento grandissimo nell’animo, una confusione e una desperazione totale...”.

   A partire da quel momento, le sue condizioni di salute si deteriorarono rapidamente. Alla ricerca di cure migliori, i familiari lo portarono a Padova, dove alloggiò per diversi mesi in casa di un parente, Giacopo Nardini.

   All’inizio di dicembre, i figli lo riportarono a Cittadella, dove morì circa venti giorni dopo (27 dicembre 1548).

      Le testimonianze pubblicate da Vergerio e altri furono scritte nella maggior parte dei casi prima del decesso di Spiera, di cui, perciò, ignoravano le precise circostanze.

   Come tanti altri, Spiera scelse di abiurare, per evitare una pena maggiore; ma ciò che rese il suo caso singolare, consacrandolo alla storia, fu la sua esperienza successiva: lo stato di prostrazione in cui cadde subito dopo la seconda abiura e il fatto che i testimoni della sua agonia, personaggi noti del mondo universitario patavino, divulgarono resoconti estremamente dettagliati del caso, dandone una rilevanza internazionale.

   Nel Cinquecento, la storia dell’agonia di Spiera ebbe una straordinaria diffusione, soprattutto a causa del suo valore di ammonimento contro la tentazione della dissimulazione.

Daniele Walker

 Adattamento da: “Pier Paolo Vergerio (1498-1565) e il «Caso Spiera» (1548)”, Studi di teologia (1998/1), n. 19, p. 7-56.

La Historia di M. Francesco Spiera

 Nel brano seguente Pier Paolo Vergerio parla non solo dell’importanza generale dello “spettacolo” di Spiera, ma nache del suo ruolo strategico per la propria vicenda. (Da Studi di teologia (1998/1) n. 19, p. 35)

 “Nel bel mezzo di una città di Padoa, città fiorente, città di studio, dove vi erano più di mille scolari, il Signore ha voluto dare questo spettacolo rarissimo; io lo ho veduto più di quindici volte in grande utilità e beneficio dell’anima mia e gli ho sentito dire cose stupende. ... E io per me affermo di non aver mai veduto né sentito la più spaventosa cosa, né la più fruttuosa all’anima mia. E sia benedetto il mio Signore il quale, vedendomi in travaglio e persecuzione de’ Farisei, acciò che la mia carne e sensualità non si avesse a piegare e pensar di aver a far con loro qualche accordo e impiastro e negazione in suo disonore, non solo mi accrebbe lo spirito e mi rivelò quanto sarebbe stata la felicità dell’anima mia se, sprezzate tutte le dignità, tutte le mitre e ricchezze del mondo, io fossi stato saldo a confessar la sua dottrina nella purità e nettezza che la dè esser confessata, ma non contento di avermilo fatto vedere descritto in molti luoghi delle Scritture, mi ha voluto far vedere in fatti, per isperienza quanto egli abbia a male e si corrocci quando altri va a negare quella verità che esso per rarissimo favore gli avea manifestato. Confesso in sua gloria che, essendo io con varii partiti stato invitato d’andar a Roma e dire che io laudava come vere e apostoliche tutte le sue ordinazioni, istituzioni, riti, toleranze, che facilmente la carne la quale ama gli onori del mondo e teme le infamie e i disagi mi avrebbe potuto ingannare e persuadere di andarvi e far qualche dissimulazione e accordo, se il celeste mio Padre non avesse avuto cura di me e, specialmente, se non mi avesse per sua gran carità fatto vedere e udire Francesco Spiera. … E io, consigliato dal mio Signore, fregai i piedi all’uscio scotendo loro la polvere e voltai le spalle e lasciatili nella lor rabbia e condennazione, venni via in luogo dove io posso liberamente confessare Cristo e la verità”.

 

Daniele Walker

Per saperne di più

 

  • A. Olivieri, “Il «Catechismo» e la «Fidei et doctrinae…ratio» di Bartolomeo Fonzio, eretico veneziano del Cinquecento”, Studi veneziani 9 (1967), p. 339-452;
  • A. Olivieri, “«Ortodossia» ed «eresia» in Bartolomeo Fonzio” BSSV XCI (1970), n. 128;
  • E. Zille, Gli eretici a Cittadella nel Cinquecento, Cittadella 1971, p. 141-221.
  • D. Walker, “Pier Paolo Vergerio (1498-1565) e il «Caso Spiera» (1548)”, Studi di teologia (1998/1), n. 19.