Intervista a Roberto Mazzeschi, nuovo presidente dell'AEI

Al termine dei lavori dell’Assemblea Federale

Puoi presentarti brevemente?

Mi chiamo Roberto Mazzeschi. La mia esperienza cristiana risale al 1960. Oggi sono pastore e responsabile di distretto nella Chiesa apostolica nell’area di Grosseto, e membro del Consiglio nazionale.

   Nel 1960, dunque, ho cominciato il mio percorso evangelicale nell’ambito delle “chiese dei Fratelli” (allora vivevo ad Arezzo), e lì ho imparato ad amare la Scrittura, e a tutt’oggi non ho mai smesso di amarla. Pur essendo, per certi versi, un autodidatta, e pur avendo fatto determinati percorsi per cercare di compensare questo fatto in aree in cui ho potuto apprendere e approfondire, ricevere, ecc., rimango innamorato della Parola di Dio e continuo a esserlo fino in fondo, perché è l’unico messaggio di salvezza di cui l’uomo ha bisogno. 

Tu sei un sostenitore di antica data dell’AEI. Cosa ha significato per te farne parte per tutti questi anni?

Storicamente, l’AEI è nata come momento propulsore durante la Conferenza europea per l’evangelizzazione ad Amsterdam, nel 1972. In quell’occasione io ero presente insieme ad altri della Chiesa apostolica.

   L’idea di un’Alleanza evangelica in Italia non ci trovò tutti d’accordo (in quei giorni, ero con la parte che dissentiva), ma una buona parte dei fratelli della Chiesa apostolica fece parte del comitato organizzatore dell’AEI. Pur non avendo mai perso di vista questa realtà, io vi sono entrato attivamente solo al tempo della presidenza del fratello Gigi Sgrò. E oggi assumo questo ruolo con preoccupazione e con gioia, perché ho la consapevolezza che è Dio che vuole questo cammino. Perciò, anche se ci sono problemi, sono ottimista, perché con il Suo immancabile aiuto andremo avanti e contribuiremo al progresso del Vangelo in Italia. 

Questa prospettiva che hai, è condivisa dalla tua chiesa o dalle chiese della denominazione di cui fai parte?

C’è una perfetta apertura. La Chiesa apostolica è una chiesa nazionale; ma ci sono state chiese, a livello locale e regionale (a cui il Consiglio nazionale diede mandato di libera partecipazione e adesione all’AEI), che per un certo numero di anni tennero inciso sulla propria targhetta: “Chiesa Evangelica Apostolica, membro dell’AEI”. Inoltre, molti attuali soci dell’AEI sono membri della Chiesa apostolica.

   Oltre all’apertura, c’è anche l’idea risoluta di volere una forte Alleanza, in cui il dialogo, lo scambio, l’arricchimento reciproco e l’impatto della testimonianza possano essere più efficaci di quanto non lo siano stati in passato. 

Anche in Italia, come nel resto del mondo, gli evangelici si trovano in due poli: o in quello del cosiddetto Protestantesimo storico ed ecumenico della Federazione, o in quello evangelicale dell’AEI. Come pensi di poter aiutare il mondo pentecostale e non pentecostale a riconoscersi in quello che dovrebbe essere il suo mondo teologico e spirituale di appartenenza, cioè il mondo dell’AEI, piuttosto che nell’altro?

Io sono membro anche della Federazione delle Chiese Pentecostali, e questa è un’area che sicuramente può collocarsi soltanto nel mondo evangelicale, anche se esistono aperture di dialogo verso il mondo delle chiese evangeliche storiche, in vista del recupero di una convergenza sui valori biblici, teologici ed etici, con la speranza di colmare i grandi vuoti creatisi nel tempo.

   Il mondo pentecostale, segno tangibile di una storia che nasce in conseguenza dei risvegli degli inizi del XX sec., ha prodotto un notevole numero di assemblee locali, e nazionali, che spesso non solo non hanno avuto grandi relazioni di mutua collaborazione, ma si sono trovate anche in conflitto le une con le altre.

   Imparando a dialogare e a collaborare insieme tra pentecostali, l’AEI è la giuntura perché tutta la realtà evangelicale s’incontri e si esprima, così che il mondo attorno a noi ravvisi una diversità unita nell’impegno di ubbidire al mandato di Gesù di esserGli testimoni. Una diversità che sia segno di ricchezza, non di povertà spirituale. Lo Spirito Santo ha promosso la vita del mondo pentecostale, e il mondo pentecostale porta una testimonianza straordinaria; però, lo Spirito Santo non è un’esclusiva del mondo pentecostale – nessun pentecostale lo pensa.

   Lo Spirito Santo è l’anima di tutti quei credenti che, avendo capito che insieme possono fare ciò che da soli è impossibile fare, si sono seduti a un tavolo di dialogo, che poi ha preso il nome di FCP (Federazione di Chiese Pentecostali). Questo miracolo promette sicuramente bene, perché aprirà un dialogo più ampio, e io ritengo che l’AEI sia l’ambito giusto. Perciò, vedo questo lavoro come portato avanti dallo Spirito Santo, e chiedo a Dio di dare sapienza e saggezza a me e ad altri, per capire la Sua voce e muoverci di conseguenza. 

Durante l’odierna Assemblea Federale, un pastore della FCP ha dichiarato di aver incontrato molte difficoltà a comunicare il senso e il valore dell’AEI all’interno di alcune delle chiese della sua Federazione. In quanto membro della FCP e, da oggi, Presidente dell’AEI, pensi di riuscire ad avere più facilità di comunicazione, oppure no?

È proprio come associato all’AEI che ho vissuto tutta la storia del dialogo pentecostale fino alla costituzione della FCP, e personalmente ne ho tratto solo ricchezza spirituale, e non fastidio, solo perché membro dell’AEI.

   Riguardo alla comunicazione che ci è stata fatta oggi non mi sento di entrare nel merito; è una voce su cui non è stato possibile fare nessun approfondimento (e, d’altronde, non era questa la sede per replicare). Come Presidente dell’AEI, m’impegnerò perché il dialogo aumenti, non certo perché diminuisca! Cercherò d’instaurarlo anche con quelle “aree” che in qualche modo, per le ragioni più disparate (che andremo a individuare piano piano), non hanno avuto finora questo tipo di comunione. Cercheremo quindi di capire le motivazioni di questa “chiusura”.

   Talvolta si assumono atteggiamenti ostici per motivi che non hanno nulla a che vedere né con la teologia né con l’AEI… A volte si tratta di conflitti personali, che, perciò, vanno risolti in altro modo. 

Quali sono gli obiettivi immediati della tua Presidenza?

A caldo, vorrei un’eco maggiore e più forte per l’AEI; vorrei lavorare per una maggiore adesione di credenti e di chiese nell’ambito dell’Alleanza, impegnarmi perché tutti i progetti già esistenti diventino più operativi... Ma ciò è possibile solo se c’è un popolo che li mette a effetto. Se il popolo non c’è, noi, come Comitato esecutivo, potremo fare tutte le proposte che vogliamo, ma resteranno solo bei progetti.

   L’AEI dovrà occuparsi, per esempio, di un Terzo mondo che è dentro le nostre città, quindi di accoglienze, di assistenze… Dovrà prendere coscienza dei disastri che sono nel mondo e impegnarsi a essere presente in quelle realtà, come il Signore c’insegna.

   Vorrei che Isaia 58:6-7 diventasse il profilo del mio programma di lavoro: oggi l’area in cui viviamo è piena di queste necessità, e noi, come credenti, non possiamo esimerci dal considerarle, per non sentirci dire alla fine: “Ero povero e non mi avete dato da mangiare, ero nudo e non mi avete vestito…”.

   Quindi, credo che, come evangelici, questo è il nostro compito in pieno. 

In questo senso, dunque, l’AEI intenderà fornire uno stimolo per un impegno a 360°?

L’Alleanza lo deve fare! E, senza essere presuntuoso, dico che, se non lo fa l’Alleanza, non potrà farlo nessun altro. Difatti, anche se ci sono chiese altamente impegnate, si tratta pur sempre di realtà singole, che possono arrivare soltanto fino a un certo livello. Con l’Alleanza, invece, si può andare oltre, e dimostrare veramente che crediamo in un Dio capace di fare “oltre”. 

Hai un appello, un messaggio o un invito da rivolgere agli evangelici italiani?

Non vorrei apparire retorico, ma ribadirei quello che è stato il tema centrale della mia meditazione di questa mattina. Impegniamoci, cioè, e con l’Alleanza sicuramente possiamo farlo, a far sì che “quelli di fuori” esclamino: “Come sono belle, o Israele, le tue tende…”. Sì, credo che sia proprio questo il nostro scopo.

   Dobbiamo metterci nei panni degli altri, vederci con i loro occhi, capire ciò che loro non vedono in noi... e poi correre ai ripari, perché abbiamo tutti gli strumenti per essere “luce e sale”. Questo è il nostro compito.

   Non accontentiamoci dei nostri piccoli orti, poiché Dio ha piantato un giardino in cui ci sono molte piante; la bellezza di un giardino sta nella varietà di piante che lo caratterizza.