La scomunica di Martin Lutero e gli inciuci ecumenici

In margine all’anniversario della bolla di papa Leone X

Roma (AEI), 6 gennaio 2021 – Il 3 gennaio 1521 papa Leone X firmava la bolla con cui scomunicava Martin Lutero dalla Chiesa cattolica romana. A cinquecento anni di distanza si può ricordare che, grazie a Dio, un provvedimento disciplinare di una istituzione religiosa compromessa non equivale a uno scadimento dalla grazia di Dio. Lutero fu escluso dai sacramenti della chiesa di Roma, ma non fu privato per questo della grazia di Dio. Al contrario, avendo riscoperto il messaggio dell’evangelo secondo cui il peccatore è salvato per fede soltanto grazie ai meriti di Gesà Cristo soltanto in base alla Scrittura soltanto, Lutero visse e morì in grazia di Dio (come peccatore salvato per grazia) anche senza più ricevere i sacramenti cattolici e senza più essere parte dell’istituzione romana.

Quella scomunica, il cui linguaggio trasuda una concezione autoreferenziale della chiesa romana e uno visione principesca (imperiale) del ruolo del papa, non capì il cuore della “protesta” di Martin Lutero, anzi segna l’insuperbimento irreversibile di Roma che porterà poi agli “anatemi” del Concilio d Trento contro il messaggio della Riforma di qualche decennio dopo.

In occasione del centenario, vi sono state iniziative ecumeniche finalizzate a smussare le questioni di allora, riducendole a scontri di personalità, equivoci impazziti, enfatizzazioni diverse radicalizzate. L’idea ecumenica di fondo è che la Riforma sia stato un grande fraitendimento e che, in realtà, oggi siamo tutti d’accordo sull’essenziale della fede. E’ proprio così? Per sottolineare il significato ecumenico del centenario, una nuova versione in italiano della “Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione per fede” del 1999 è stata resa pubblica.

A commento di questo importante documento ecumenico, riprendiamo un articolo pubblicato su Ideaitalia III (1999/6) p. 3 dal titolo “Più che pietra miliare, pietra d’inciampo”:

I luterani hanno l’illusione che il “sola fede” venga espresso ma la realtà è che la giustificazione per sola fede viene spuntata e annientata perché inserita in una cornice cattolica dove accanto al “sola fede” c’è la riproposizione della visione cattolica di “fede e opere”. Che senso ha allora il “sola fede” se è solo un componente di una articolazione più vasta (leggi: cattolica) della giustificazione? Che senso ha adoperare il linguaggio forense della giustificazione se poi si considera la dichiarazione mediante la quale Dio attribuisce la giustizia di Cristo al peccatore solo un momento del processo trasformativo che sfocia nella giustificazione? Il “sola fede” è tale se, oltre ad affermare la verità che la giustificazione è dono di Dio, nega nello stesso momento che la giustificazione abbisogni delle opere o di quant’altro. La logica biblica del “sola fede” è stringente: o è sola fede o non è sola fede. Nella Dichiarazione cattolico-luterana, invece, il “sola fede” è una parte di una comprensione più ampia che include, di fatto, anche la sua negazione. E allora bisogna avere il coraggio di dire che non è più il “sola fede” dell’insegnamento biblico riscoperto da Lutero. Si tratta di una versione ecumenicamente aggiornata delle tesi del concilio di Trento spacciate per “consenso su verità fondamentali sulla dottrina della giustificazione”. Se di “pietra miliare” si deve parlare, la Dichiarazione lo è nel senso che contribuisce al disegno ecumenico del cattolicesimo volto all’incremento della sua capacità d’inglobare tutto facendo rientrare le ragioni ultime della Riforma nell’alveo della sintesi cattolica.

Non si deve cedere alla tentazione di arretrare rispetto a quanto dice la Parola di Dio: “Sappiamo che l’uomo non è giustificato per le opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Cristo Gesù” (Gal 2,16). Se gli evangelici cedono su questo punto, iniziano a franare su tutti i fronti.