Un contributo evangelico ai lavori della convenzione europea

Negli ultimi cinquant'anni, l'Europa ha acquisito un sempre maggior peso nella vita di centinaia di milioni di cittadini del "vecchio" continente. La moneta unica è un forte collante sociale; le istituzioni comunitarie stanno assumendo un ruolo di primo piano; le politiche dei vari stati membri cercano sempre più di coordinarsi e di mantenere standard comuni; i confini dell'Europa stanno per dilatarsi con l'allargamento a molti Paesi dell'est; anche a livello simbolico, il riferimento all'Europa evoca qualcosa di avvertito profondamente.

 

In questo quadro in continua evoluzione, i lavori della Convenzione europea sono particolarmente importanti in quanto quest'organismo ha il mandato di disegnare l'architettura istituzionale dell'Unione. Nessun cittadino, nessuna famiglia, nessun'associazione, nessuna chiesa, nessun corpo intermedio può sentirsi estraneo a questi processi che influenzeranno la vita nel segno dell'Europa. In quanto cittadini e in quanto credenti, gli evangelici non vogliono né possono fare gli spettatori passivi. Come cittadini e come credenti, vogliono al contrario contribuire all'ampia discussione in atto che accompagna i lavori della Convenzione e che stimola il dibattito nei vari Paesi.

L'Alleanza Evangelica Italiana (AEI) ha da qualche tempo avviato una riflessione sui temi dell'Europa di cui questo documento rappresenta una sintesi ragionata. In particolare, l'AEI ha trovato stimolo e orientamento in alcuni documenti significativi dell'evangelismo contemporaneo quali il Patto di Losanna, §§ 5 e 13 (1974), la Lettera di Basilea su chiesa e nazione (1976), la Dichiarazione di Hoddesdon per uno stile di vita semplice, §§ 4,6 e 7 (1980), la Dichiarazione di Oxford su cristianesimo e economia (1994)[1] e il manifesto Speranza per l'Europa (2002)[2]. Alcuni di questi documenti sono esplicitamente diretti al contesto europeo, altri hanno un orizzonte più vasto: in ognuno di essi si trovano dei princìpi evangelici che l'AEI ha trovato significativi per elaborare questo contributo.

L'AEI è lieta di offrire questo contributo ai credenti evangelici italiani affinché esso serva di stimolo alla loro riflessione sulla specificità della testimonianza cristiana in questo periodo di grandi trasformazioni; ai membri italiani della Convenzione europea in modo che prendano atto e valorizzino l'opinione dei cittadini evangelici italiani che si riconoscono nell'AEI; all'Alleanza Evangelica Europea affinché essa possa presentare alla Convenzione europea e in tutte le altre sedi opportune il pensiero di milioni di evangelici europei sui temi dell'Europa.

Tutto ciò considerato, l'AEI invita la Convenzione a tenere presenti tre punti che possono tradursi in altrettanti impegni.

  1. L'Europa deve riconoscere una base di valori di riferimento.

L'Europa non ha futuro se si limita ad essere un contenitore mercantilistico o un mero strumento politico nelle mani di poteri forti. Senza valori che ne orientino il funzionamento e la progettualità, le istituzioni europee diventeranno meccanismi burocratici impersonali e oppressivi. Come evangelici, siamo consapevoli del ruolo fondamentale che il cristianesimo ha avuto nel modellare la storia dell'Europa e i suoi valori di riferimento. Ciò non riguarda solo il passato, ma costituisce anche una ricchezza a cui l'Europa dovrà attingere per il suo futuro. L'amnesia storica e il relativismo dei valori rappresentano due pericoli intrecciati da cui è bene guardarsi.

Nella sua storia recente, l'Unione si è già dotata della Carta dei diritti fondamentali (Nizza 2000) che riconosce e sancisce i diritti ritenuti fondamentali dall'Unione e per l'Unione. In essa i diritti vengono raggruppati nei seguenti: dignità, libertà, eguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia. La Carta individua una piattaforma accettabile che, tuttavia, deve essere alimentata da valori che fondano tali diritti. È auspicabile che la Convenzione inserisca nella sua proposta un chiaro ed esplicito riferimento a questa Carta. L'Europa altro non deve essere che il soggetto plurale che promuove questi diritti al suo interno e se ne fa portavoce fattivo al suo esterno. Rispettare questi diritti e farli rispettare deve essere la funzione etica dell'Europa.

In particolare, senza per questo stabilire un ordine gerarchico tra i diritti sanciti dalla Carta di Nizza, gli evangelici sono sensibili a quello della libertà religiosa. Gli artt. 10, 11, 12 e 22 richiamano a vario titolo l'importanza della libertà religiosa quale madre di tutte le altre libertà. Se, da un lato, gli evangelici stigmatizzano la crescente insofferenza anche degli ambienti ecumenici contro le attività di testimonianza religiosa che vengono bollati come "proselitismo" e denotati negativamente[3], dall'altro, gli evangelici che si riconoscono nell'AEI apprezzano il riferimento della Carta di Nizza alla libertà di "cambiare religione o convinzione", alla "libertà di manifestare la propria religione o la propria convinzione individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti" (art. 10). Questa libertà è di tutti e per tutti nel senso che ogni attività di testimonianza deve essere salvaguardata come momento in cui la libertà religiosa si manifesta, nel rispetto della libertà altrui, ma senza impedimenti discriminatori o censure limitanti l'esercizio di tale diritto. Gli evangelici non vogliono privilegi rispetto ai credenti di altre confessioni cristiane o di altre religioni o convinzioni, ma nemmeno accettano di essere discriminati o limitati nella loro attività di testimonianza.

Gli evangelici, inoltre, apprezzano l'esplicito riferimento della Carta di Nizza alla "libertà di associazione a tutti i livelli" (art. 12), comprendendo le attività delle chiese, delle agenzie paraecclesiali e dei movimenti evangelici come forme diversificate e particolari di associazionismo. È auspicabile che la Convenzione europea trovi l'opportuna espressione per sancire tale libertà di associazione (anche per le chiese) e la non ingerenza da parte di entità politiche, governative e militari nella vita delle associazioni.

Il fatto che "l'Unione rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica" (art. 22), infine, è un'ulteriore garanzia affinché l'Europa salvaguardi le diverse culture religiose che fanno parte del variegato panorama culturale europeo. Gli evangelici avvertono la loro particolarità religiosa come un valore da cui l'Europa non può prescindere storicamente e spiritualmente. L'Europa è un continente plurale in cui tutte le "anime" da cui è composto devono avere la libertà di esprimersi e di concorrere al bene comune nei modi e nelle forme che ciascuna riterrà più confacente alla sua natura e alla propria vocazione.

Il riconoscimento di questa pluralità all'interno dell'Europa dovrebbe autorizzare la stessa a sollecitare comportamenti ispirati al criterio di reciprocità nei rapporti con realtà diverse. Questo vale evidentemente, ma non esclusivamente, per le relazioni con i Paesi in cui l'Islam della maggioranza ha una forte incidenza politica che lede i diritti delle minoranze religiose.

  1. L'Europa deve scegliere il modello federale e rispettare la sovranità di ciascuna sfera di cui è composta. 

L'Europa è chiamata a pensare in modo coraggioso la propria architettura istituzionale e a disegnare nitidamente gli ambiti di competenza delle istituzioni comunitarie in rapporto alla vita dei cittadini, alle attività delle comunità, agli stati membri dell'Unione. L'articolazione dell'assetto istituzionale dell'Europa è la vera posta in gioco dei lavori della Convenzione in quanto la cornice dei valori è già stata fissata in modo autorevole con la Carta di Nizza.

È auspicabile che la Convenzione respinga con decisione la tentazione accentratrice e dirigista del giurisdizionalismo, che è ancora ben radicato nella cultura giuridica e politica di molti Paesi europei. Essa può trovare espressione nel tentativo di creare un'entità politico-istituzionale europea dotata di sovranità accentratrice che ingerisce in modo preponderante nella vita delle entità "minori" che rientrano nella propria giurisdizione. Di fronte a questa possibile deriva, è necessario riconoscere il fatto che il diritto alla libertà sancito dalla Carta di Nizza è politicamente e moralmente incompatibile con tale prospettiva. L'Europa non può diventare un super-stato che assorbe in sé una parte più o meno sostanziosa di sovranità dei soggetti statuali, associativi, personali, ecc., esautorandone la legittima sovranità e ingerendo nelle loro attività.

Non solo le forme più macroscopiche del giurisdizionalismo devono essere respinte, ma anche la mentalità giurisdizionalista deve essere tenuta sotto controllo e, per quanto possibile, accantonata. La Convenzione è chiamata a vigilare affinché l'impianto della Costituzione europea non sia ispirato ad una tale visione burocraticizzata, accentratrice ed esautorante. Per questo, gli evangelici auspicano una Costituzione il più possibile breve e snella: una carta costituzionale che fissi con nitidezza l'architettura istituzionale dell'Unione e che limiti le competenze dell'Unione a poche e circoscritte attività.

Per raggiungere questo obbiettivo, è necessario che la Convenzione adotti un modello politico-istituzionale di riferimento. Se il modello giurisdizionalista (il super-stato) è da scartare, quello federale è invece il modello da cui trarre ispirazione. Attualmente, l'Unione è un ibrido che sta mostrando tutti i suoi limiti. Da una parte, vi sono le istituzioni comunitarie senza funzioni chiare (es.: il Parlamento) e senza mandato popolare (es.: la Commissione). Dall'altro, vi sono i governi nazionali che oscillano tra slanci comunitari ed interessi nazionali. I lavori della Convenzione sono per l'Europa l'occasione di uscire dalla sua ambiguità istituzionale per scegliere di diventare una federazione di stati-nazione che, sottoscrivendo un fedus (patto), cedono ambiti definiti di sovranità alla federazione e che mantengono tutti gli altri. L'attuale polarizzazione tra metodo comunitario e metodo inter-governativo è frutto dell'ambiguità in cui versa l'Unione e che deve essere sciolta a favore di una federazione di stati-nazione. Non si tratta di iscriversi al partito del metodo comunitario o di quello inter-governativo: si tratta di scegliere il modello federale in cui si fanno poche cose in modo unitario (es.: la politica estera, la moneta e poco altro), mentre per tutte le altre ogni stato-nazione si regola in modo autonomo. Il modello federale permette infatti di riconoscere alle istituzioni federali delle competenze che investono tutti gli stati-nazione federati, mentre questi ultimi rimangono i titolari di tutte le altre. Il modello federale innalzerebbe il livello democratico delle istituzioni dell'Unione, salvaguardando nel contempo le diversità e le autonomie di cui l'Europa è composta.

Nel delineare le competenze dell'Unione federale, gli evangelici auspicano che la Convenzione tenga conto anche del criterio protestante della "sovranità delle sfere", che ha come parente prossimo, anche se distinto, quello della "sussidiarietà" estrazione della dottrina sociale della Chiesa cattolica romana. Nella tradizione del pensiero evangelico in campo sociale e politico, infatti, la "sovranità delle sfere" è parte del patrimonio giudaico che il protestantesimo porta in dote all'Europa. In sintesi, esso può essere formulato così: ogni sfera di cui è composta la vita è sovrana su sé stessa e la sovranità di ciascuna sfera deve essere rispettata, valorizzata e salvaguardata dalle altre sfere. A differenza della "sussidiarietà", la "sovranità delle sfere", negativamente, rigetta un quadro gerarchico di rapporti in quanto esclude che vi siano sfere "superiori" in rapporto ad altre "inferiori" e, positivamente, riconosce la legittima sovranità di ciascuna sfera, ognuna delle quali non è gerarchicamente sottoposta a nessun altra, ma si relaziona alla pari con le altre sfere in un quadro di mutua contribuzione alla vita dell'insieme sociale. In particolare, l'AEI auspica che la Convenzione, nella definizione delle competenze dell'Unione, sappia rispettare il principio della "sovranità delle sfere" nei rapporti tra Europa e cittadini (rispettando la sovranità delle persone in tutti gli ambiti leciti), nei rapporti tra Europa e corpi intermedi (non interferendo nelle libere e lecite attività delle associazioni e delle imprese) e nei rapporti tra Europa e stati-nazione (limitando al massimo la sfera delle competenze dell'Unione). In altre parole, in un'ottica federale, l'Europa deve rispettare e valorizzare le sfere di sovranità delle persone, delle famiglie, delle associazioni, delle comunità locali e degli stati-nazione. Anche nel contesto allargato dell'Unione, ogni sfera deve saper mantenere la sovranità che gli è propria.

  1. L'Europa può promuovere una sede istituzionale di confronto tra le sue istituzioni e le varie espressioni religiose del continente.

In ragione dell'importanza dei valori su cui l'architettura istituzionale dell'Unione deve fondarsi, è fondamentale che l'Unione stessa incoraggi il dialogo con le diverse agenzie che, nelle diverse sfere di sovranità, promuovono i valori riconosciuti anche nella Carta di Nizza. Nessuna istituzione europea, per quanto autorevole e legittima sia, è in grado da sola di alimentare i valori di riferimento che costituiscono la sua base di partenza. Considerato il ruolo storico delle religioni nella storia d'Europa, il confronto con gli organismi rappresentativi delle chiese cristiane e delle religioni si rende necessario. In particolare, se il cristianesimo ha costituito una delle forze motrici nella costruzione del comun sentire europeo, è ragionevole pensare che vi siano delle sedi permanenti di dialogo e di confronto in cui le diverse espressioni del mondo cristiano, insieme a quelle di altre religioni che hanno una significativa rappresentanza in Europa, possano interloquire con le istituzioni europee su questioni d'interesse comune. Tale confronto deve essere improntato al rispetto della sovranità di ciascuna sfera, senza indebite ingerenze da parte delle agenzie religiose nelle competenze dell'Unione.

L'Alleanza Evangelica Europea, in qualità di organismo rappresentante 28 Alleanze Evangeliche nazionali relative ad altrettanti Paesi europei, è sicuramente uno dei soggetti interessati a questo potenziale "forum" permanente di cui l'AEI chiede l'istituzione. L'Alleanza Evangelica Europea è, a sua volta, espressione dell'Alleanza Evangelica Mondiale, fondata nel 1846, che rappresenta 108 Alleanze nazionali per un totale di circa 160 milioni di cristiani evangelici. L'Alleanza ha quindi una vocazione che collega le singole nazioni all'Europa e al mondo che le permette di auspicare la creazione del "forum" Europa-religioni in vista della promozione del dialogo tra le diverse componenti del continente sul tema strategico dei valori dell'Europa e per l'Europa.

 Oltre a formulare questo contributo, gli evangelici che si riconoscono nell'AEI si impegnano a pregare Dio per un buon esito dei lavori della Convenzione.

Roma, Assemblea Federale dell'Alleanza Evangelica Italiana, 12 aprile 2003

 


[1] Questi documenti sono pubblicati nel volume di Pietro Bolognesi (ed.), Dichiarazioni evangeliche. Il movimento evangelicale 1966-1996, Bologna, EDB 1997.

[2] Thomas Schirrmacher, Speranza per l'Europa, Nürnberg, VTR 2002. Il testo è stato presentato al congresso "Speranza 2002" (Budapest, 28/4-2/5 2002) co-sponsorizzato dall'Alleanza Evangelica Europea.

[3] Tale fastidio nei confronti delle attività di testimonianza ispirate al criterio evangelico della "parresia" (chiarezza, coraggio e sfida rispettosa alle altre fedi) è espressa anche dalla Charta Oecumenica del 2001 elaborata in seno alla Conferenza delle Chiese d'Europa (KEK) e al Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE).