Notizie dal Mondo, 2/2002

Cina: WTO, Olimpiadi… ma le persecuzioni continuano

Storie di ordinaria ambiguità

 Quello della Cina costituisce un caso di particolare interesse nel panorama socio-politico mondiale.

 È vero, infatti, che di recente la Cina è stata accolta come membro dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) e che fra 6 anni vi si svolgeranno (per la prima volta nella storia del Paese) i Giochi Olimpici, a testimonianza di un’“apertura” ancora sperimentale fra l’Occidente e il Paese più popoloso del mondo.

   Tuttavia, secondo fonti accreditate e documentate (la Jubilee Campaign, per esempio), è altrettanto vero che la Cina è ancora il Paese con il maggior numero di esecuzioni capitali all’anno e dove tuttora si utilizzano strumenti di repressione e persecuzione in campo religioso. Il che genera forti e gravi perplessità.

   Ufficialmente, le religioni non sono vietate in Cina. Ma, di sicuro, sono sotto rigido controllo. Il Ministero della Pubblica Sicurezza cinese ha decretato di voler identificare e mettere al bando un rilevante numero di sètte ritenute uno “strisciante pericolo per la sicurezza e la difesa del Paese”.

   Finora, l’attuazione di questo proposito ha portato all’individuazione di 14 organizzazioni “settarie” (fra le quali la nota Falun Gong), così definite per non aver mai accettato di farsi registrare dalle autorità preposte a tale scopo. Non stupisce che, tra questi gruppi settari, vi siano anche comunità cristiane di tipo “domestico” (nel senso che svolgono le proprie attività cultuali in case private). Le pene più severe sancite per questo genere di “crimine” contro la sicurezza del Paese possono arrivare all’ergastolo e persino alla condanna a morte.

   Che cosa c’è dietro questa politica di repressione, perpetrata ormai da vari decenni da parte delle autorità cinesi?

   Secondo Sun Jianxin, vice-direttore del Dipartimento di Pubblica Sicurezza della regione di Anhui, è necessario mantenere questo tipo di stabilità sociale e politica, per contrastare “le ostili forze occidentali e le loro costanti strategie di «occidentalizzazione» del nostro Paese”. Sicuramente, un discorso del genere stride notevolmente con l’ingresso della Cina nel WTO.

   Johan Companjen, direttore di Open Doors International, ha di recente affermato che “è facile dare un’idea distorta della situazione dei cristiani cinesi: c’è il rischio di esagerare, oppure di far finta che le difficoltà siano inesistenti… Ma, secondo le parole di un pastore di Shanghai, «la verità è già abbastanza grave che è proprio superfluo esagerare»!”.

   Forse la comunità internazionale non farebbe male a riflettere che, nonostante l’ingresso nel WTO e l’incarico di organizzare le Olimpiadi del 2008, la Cina è un Paese in cui la libertà di religione, di credo e di associazione è ancora fortemente limitata e diffidata.

   Evidentemente, la tutela dei rapporti economici con la Cina ha più peso rispetto alle tante “parole” che i Paesi del WTO spendono per la tutela dei diritti umani...

G.P.

 Svizzera: le chiese di fronte all’intrusione dello Stato

Una tassa per cantare

 È stato firmato il contratto tra l’Unione delle Assemblee svizzere (AESR) e la SUISA.

 La SUISA è la Società svizzera per i diritti d’autore (corrispondente all’italiana SIAE). Il contratto prevede il pagamento di un canone annuale per i diritti d’autore della musica usata durante le riunioni. La cifra non è esorbitante, ma può essere un motivo di riflessione sui risvolti della burocratizzazione che potrebbe presto valicare le Alpi ed estendersi anche all’Italia.

   Ogni anno, quindi, le chiese dovranno rendere conto dell’esatto numero dei propri membri e comunicare una lista dei principali canti eseguiti nell’anno precedente. Come contropartita, la SUISA autorizza l’AESR a “eseguire o a fare eseguire musica, in Svizzera e nel Liechtenstein, nell’ambito delle proprie chiese, per mezzo di musicisti o di supporti sonori e/o audiovisivi”.

V.V.