Considerazioni
PREMESSA
Il DDL 3947/C fu presentato dal Governo Prodi il 3 luglio 1997, firmatari lo stesso Presidente del Consiglio, l’On. Napoletano, l’On. Visco, l’On. Berlinguer, l’On. Treu ed il ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi. Per le note vicende politiche successive alla presentazione, nessuno dei firmatari poté seguire l’iter parlamentare dell’importante provvedimento. La Commissione Affari Costituzionali, attraverso l’avvicendarsi piuttosto burrascoso di ben quattro successive presidenze in tre anni, se ne è occupata per ben trentatré sedute incluse quelle di Comitato ristretto che ha incontrato le confessioni evangeliche, l’Alleanza Evangelica Italiana, la FCEI, il CESNUR, la Commissione presso la Presidenza del Consiglio, ed altri. Regista competente del travagliato cammino è stato in qualità di Relatore l’On. Prof. Maselli (cristiano-sociali). Va dato il giusto merito al Relatore di aver realizzato “Una larghissima consultazione” che è “inedita nella storia dei rapporti tra Stato e Confessioni religiose di minoranza” (G. Long, in RIFORMA 3.11.2000). Il provvedimento, lungamente atteso dalle minoranze evangeliche senza intesa e quindi tuttora soggette alla legislazione autoritaria degli anni 1929/30 sui culti “ammessi”, ha subito tutta una serie di incredibili rallentamenti e peggioramenti, risoltisi alla fine della legislatura in un vero ‘minestrone’ giuridico.
Il relatore Maselli si è rammaricato che i dicasteri delle Finanze e del Tesoro (ma non è chiaro perché) “hanno messo ogni tipo di ostacolo alla legge con la scusa della mancanza di copertura finanziaria” (Dentro il Parlamento, ed. 14.3.2001, Lucca, p. 15). L’articolato risultante dopo tutta una serie di aggiustamenti negativi e di retroguardia, per fortuna non è riuscito a giungere alla discussione in assemblea ed è quindi decaduto per fine della legislatura. Se, malauguratamente, fosse stato approvato (ma la discussione avrebbe occupato dei mesi), avrebbe significato una gravissima battuta di arresto alla libertà religiosa ed un altrettanto grave arretramento rispetto al regime di libertà già in vigore, soprattutto per le confessioni prive di intesa e di riconoscimento giuridico. Ricordiamo che la Costituzione prevede le intese come un diritto potestativo delle confessioni, ma non prevede in nessun caso il riconoscimento giuridico delle confessioni. Purtroppo l’imposizione del riconoscimento, tra l’altro nelle forme altamente burocratiche proposte, ha finito col ridurre moltissimo gli spazi di libertà delle confessioni di minoranza, creando un nuovo ghetto di serie C (serie A le confessioni con intesa, serie B quelle senza intesa ma con riconoscimento). Ci auguriamo che la legislatura da poco iniziata riveda tutta la delicata materia con lungimirante saggezza e sagacia politica (AR).
Si danno qui di seguito alcune sintetiche osservazioni sull’articolato del DDL 3947 così come sono state approvate dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, premettendo che la Commissione stessa sembra non essersi accorta della emanazione del DPR 10.02.2000 n. 361 – in GU 7.12.2000 – che semplifica il riconoscimento della personalità giuridica di associazioni e fondazioni attribuendo la competenza in via definitiva alle Prefetture (e quindi saltando il Capo dello Stato, il Ministero dell’Interno ed il Consiglio di Stato) presso le quali viene istituito il Registro delle Persone Giuridiche.
150 milioni di credenti in 135 Paesi) aveva indirizzato alla Commissione Parlamentare
una proposta dettata dal buon senso e giuridicamente percorribile.
Dato che per i casi specifici di esercizio della libertà di culto delineati dal primo comma dell’art. 8, erano già da tempo state approvate dal Parlamento precise norme attuative (inserite in ogni intesa: leggi 449/1984, 516 e 517/1988, 101/1989, 116/1995 e 520/1995) nulla impediva il recepimento nell’art. 8 di quella speciale normativa, tra l’altro già sperimentata positivamente. Ed allora non si capisce perché la Commissione abbia preferito, invece, imboccare la strada della discriminazione, creando di fatto gli evangelici di serie A con intesa, di serie B con il riconoscimento e di serie C senza il riconoscimento. Un risultato tremendamente squalificante perpetrato proprio da quel consesso parlamentare deputato alla tutela dell’eguale libertà nell’esercizio della libertà di culto.
Nel corso dell’intervista che il direttore del periodico RIFORMA (1.5.1998) ebbe con il Prof. G. Long, questi osservò – a nostro avviso correttamente – che uno degli obiettivi del DDL era quello di “definire uno standard comune di trattamento per le confessioni senza intesa che le avvicini a quelle con intesa.” E sembra che tale obiettivo non sia stato centrato.
3.1 la personalità giuridica delle confessioni
3.2 le modalità burocratiche per conseguirla
3.1 già il testo del DDL edizione 1990, ricalcando la formula autoritaria ereditata dalla famigerata legislazione del 1929/30, dedicava gli artt. 9 e 14 alla personalità giuridica delle confessioni. Dopo quella data si aggiunsero altre intese (1991 e 1995) e tutte le leggi di semplificazione e delegificazione cosiddette “Bassanini” e lo stesso concetto di riconoscimento fu oggetto di proposte di revisione da parte della Dottrina. Ma il DDL 3947 agli articoli 14/16 (poi diventati 16/18) ripete pedissequamente che la confessione può chiedere il riconoscimento se riesce a passare le forche caudine del complicato iter burocratico che vede impegnati il Capo dello Stato, il Ministero dell’Interno ed il Consiglio di Stato (identica normativa dell’art. 2 della legge 1159/1929). Tale orientamento è in linea con la constatazione che A.C. Jemolo ebbe a fare in tema di libertà religiosa (Libertà e uguaglianza religiosa nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, in AA.VV. 1959) osservando che “ l’Avvocatura Generale dello Stato in tutte queste controversie (di attuazione della Costituzione, n.d.r.) ha sempre difeso la sopravvivenza della vecchia legislazione”. “Non si può dire che tutta questa problematica – di estrema importanza sul terreno dell’apertura delle “forme” giuridiche alla realtà sociale – sia adombrata dal citato DDL sulla libertà religiosa, che all’art. 16 (poi diventato 18, n.d.r.) non solo non tempera alcuni requisiti, come la sufficienza del patrimonio, richiesti dall’art. 10 del r.d. 289/1930, norma vigente che andrebbe ad abrogare, …, ma soprattutto normativizza elementi, come la presenza sociale e la stabilità, che sembrano mutuati da norme di altri ordinamenti (come il ricordato art. 140 NGG/137/VWRV)” : così Nicola Colaianni, in “Confessioni religiose e intese” (Cacucci, Bari 1990 p. 104). In effetti la dottrina ha manifestato con una larga messe di studi una diffusa perplessità sulla necessità di un riconoscimento che ricalchi le linee della legislazione 1929/30 dopo l’avvento della costituzione repubblicana che si è aperta al pluralismo religioso sino a ritenere non necessario che la stipula di intese con lo Stato sia subordinata al previo riconoscimento della confessione.
Ma anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha notevolmente allargato le maglie del controllo ai fini del riconoscimento (Pareri 16.3.1984 e 29.11 1989) inducendo il Colaianni (op. cit. 87) a rilevare che “a fronte di una giurisprudenza innovativa – verosimilmente incoraggiata dalla semplice “presa d’atto” in sede d’intesa del carattere confessionale dichiarato - appare muoversi piuttosto in senso antiorario il citato disegno di legge sulla libertà religiosa che all’art. 16 (ora 18, n.d.r.) richiede che il Consiglio di Stato, nell’accertare che lo statuto non contrasti con l’ordinamento giuridico italiano e non contenga disposizioni contrarie ai diritti inviolabili dell’uomo, formuli il parere sul carattere confessionale – non si specifica in base a quali criteri diversi dell’autoreferenza – dell’organizzazione richiedente”.
3.2 Abbiamo visto che la prassi burocratica della “nuova” legge sulla libertà religiosa, per quanto riguarda le modalità del riconoscimento della personalità giuridica, è praticamente stata ricalcata nel DDL dalla prassi vigente (ma destinata all’abrogazione) della L. 1159/1929, norma ovviamente anacronistica in quanto aveva giustificazione solo nel quadro di un regime autoritario che doveva proteggere la religione di Stato dalle confessioni “eretiche”,, “ammesse” ma rigidamente vigilate. Dopo l’avvento delle semplificazioni “Bassanini” (la legge 15.5.1997 n.127, all’art. 17, commi 25 e 26, esclude l’obbligatorietà della richiesta di parere al Consiglio di Stato per gli atto NON normativi del Governo) e l’emanazione del DPR 10.2.200 n. 361 che attribuisce alla competenza dei Prefetti il riconoscimento della personalità giuridica delle associazioni e fondazioni ed istituisce presso le Prefetture il Registro delle Persone Giuridiche, sembra un perseverare diabolico quello della Commissione Affari Costituzionali, che – napoleonicamente – si aggrappa ancora ad una legislazione che non ci fa tanto onore nell’attuale contesto di democrazia pluralista.
In conclusione, se l’articolato del DDL 3947/C (decaduto per fine legislatura) dovesse malauguratamente essere trasfuso in un DDL analogo ( ipotesi politicamente non più percorribile), l’AEI avrebbe buoni motivi per ricorrere alla Corte Costituzionale denunciando le molteplici e clamorose violazioni della Legge Fondamentale.
RA 31/08/2001