Scheda libro

Fulvio Ferrario, Il futuro della Riforma, Torino, Claudiana 2016, pp. 195.

il futuro della riforma 250Nell’anno del quinto centenario della Riforma, molta attenzione è concentrata sul passato. Cosa è successo cinquecento anni fa? E da lì in avanti? Sono tutte domande legittime e necessarie. Questo libro, tuttavia, sposta l’attenzione sul futuro. La Riforma ha sicuramente un passato, ma c’è un futuro per la Riforma? La domanda è posta dall’A., teologo valdese. Essa parte da un’ampia analisi del presente della cultura occidentale segnata dai fenomeni della post-secolarizzazione, della religiosità liquida e comunque del cambiamento dei codici religiosi tradizionali. Quali prospettive ha la Riforma in questo scenario che pone sfide consistenti alla fede evangelica?

Per rispondere, oltre all’analisi del presente, è richiesta chiarezza su cosa sia il cuore della Riforma. L’A. ne parla di “progetto pastorale” incentrato sulla Parola annunciata, la chiesa come creatura della Parola, la centralità di Cristo e la responsabilità del cristiano. Conclude sostenendo la “suggestiva inattualità della Riforma”, così distante dal nostro secolo eppure con la possibilità di essere un’intrigante presenza nel grande calderone della contemporaneità.  La sua prospettiva è interna alle chiese protestanti “storiche” caratterizzate dal fenomeno dello spopolamento ecclesiastico e dalla ricerca di soluzioni per mantenere una minima sostenibilità. Per l’A. il futuro della Riforma sembra essere allora un progetto di una minoranza di credenti legata alla propria storia e dentro una società aperta in cui salvaguardare la ricchezza di una memoria e mantenendo una sorta di “riserva” della fede.

Il testo è pieno di analisi brillanti e spunti interessanti meritevoli di essere meditati anche dagli evangelici che non si riconoscono nel percorso delle chiese “storiche”. Non stupisce l’assenza dalla visione dell’A. di alcune parole chiave per pensare biblicamente un futuro per la Riforma: non esiste, ad esempio, un riferimento significativo all’evangelizzazione. Si parla di annuncio della Parola, ma tutto sembra essere legato all’annuncio nella chiesa e per la chiesa, al massimo in senso lato verso la “cultura” da cui si pretende rispetto visto che se ne condividono molte strutture di plausibilità. La domanda è: ha senso il futuro della Riforma come mantenimento di una realtà ecclesiastica residuale? Che significato può avere la Riforma se è sganciata dalla visione missionaria di annunciare l’evangelo biblico a tutti, denunciando le storture del peccato personale e strutturale, presentando l’esclusività di Cristo per la salvezza, la necessità del ravvedimento e della fede, ed aspettandosi cammini di conversione e di discepolato in forme vocazionali ed ecclesiali virtuose?

La Riforma ha futuro solo se sarà missionaria. Altrimenti rischia di diventare un esercizio religioso dedicato alla manutenzione di strutture declinanti. Per fare questo occorre tornare alla domanda su cosa sia stato centrale per la Riforma. Sicuramente la Bibbia come Parola di Dio ha animato l’afflato teologico della Riforma. L’A., tuttavia, riguardo alla Bibbia, sostiene che “Il testo non è la Parola di Dio in quanto tale, ma lo diventa, ad opera dello Spirito santo nell’evento dell’annuncio” (p. 35, enfasi nel testo). Con questa visione dialettica della Parola di Dio come si può avere il coraggio di annunciare al mondo un messaggio scomodo eppure vero qual è l’evangelo biblico?