Il tormentone della preghiera di Iabes... (informazioni editoriali)

Bruce Wilkinson, La preghiera di Iabez, Marchirolo (VA), Editrice Uomini Nuovi, 2002, 93 p.

 Questo libretto è diventato una specie di tormentone nel mondo evangelico anglosassone. Ora che è stato tradotto in italiano è prevedibile che lo diventi anche da noi.

   Iabez è un personaggio dell’A.T. di cui si parla solo in un versetto, che riporta la sua preghiera: “Iabez invocò il Dio d’Israele, dicendo: Benedicimi, ti prego; allarga i miei confini; sia la tua mano con me e preservami dal male in modo che io non debba soffrire. E Dio gli concesse quanto aveva chiesto” (1 Cr 4,10).

   L’A. è convinto che questa preghiera debba essere fatta propria da ciascun credente e ripetuta più volte ogni giorno. Per lui, solo così si potranno sperimentare le benedizioni di Dio in modo copioso e quotidiano. L’intenzione dell’A. è encomiabile, e si capisce che è mosso dal sincero desiderio di vedere Dio all’opera ogni giorno. La vita cristiana non dev’essere all’insegna del grigiore e della mediocrità, ma deve rispecchiare la ricchezza e lo slancio della vita di Dio in noi. Rassegnarsi all’esistente e non avere attese di cambiamento è un atteggiamento da bandire nell’esperienza cristiana. Non è peccato, anzi, è bene chiedere le benedizioni di Dio e aspirare a essere utili nel Suo Regno! Non è peccato, anzi, è necessario chiedere alla mano di Dio di essere su di noi e di preservarci dal male!

   Detto questo, il modo in cui l’A. tratta la preghiera di Iabez suscita molte perplessità, soprattutto per gli estremismi in cui Wilkinson cade, nella foga di coinvolgere emotivamente i lettori nella sua scoperta.

   Innanzi tutto, la vita di preghiera è molto più ricca e più varia della ripetizione della preghiera di Iabez. La Bibbia dice che essa è fatta di “suppliche, preghiere, intercessioni, ringraziamenti” (1 Tm 1,1), e ridurla a una sola preghiera è un tragico impoverimento. Semmai, il modello di preghiera non è quella di Iabez, ma quella che il Signore Gesù ci ha insegnato nel “Padre nostro” (Mt 6,913).

   Inoltre, la ripetizione meccanica e continua è una pratica pericolosa. Essa fa parte di certe tradizioni religiose non cristiane (ad esempio, il mantra buddista) o cattoliche (il rosario), ma non è una caratteristica della fede evangelica. Ci è prescritto di pregare continuamente (1 Ts 5,17), di perseverare nella preghiera (Cl 4,2), ma non di ripetere una preghiera in modo ossessivo. Gli evangelici hanno bisogno, non di “rosari” biblici, ma di una preghiera viva e sempre presentata con intelligenza (1 Cor 14,15).

   Infine, l’impressione che si ricava dal libro è che la recitazione della preghiera sia la scorciatoia sensazionalistica per evitare d’intraprendere il cammino delle discipline cristiane. Si vuole tutto e subito, qui e ora, ma l’A. dice poco sulla necessità della perseveranza, della formazione e dell’abnegazione alla causa del Vangelo. L’apostolo Pietro ci dice che la vita cristiana non è fare una preghiera per uscire dalle proprie frustrazioni, ma aggiungere alla fede la virtù, la conoscenza, l’autocontrollo, la pazienza, la pietà, l’affetto fraterno e l’amore (2 Pt 1,57). Questo è il cammino per non essere sterili e pigri. Sicuramente, la preghiera è parte integrante del processo, ma senza che si coltivino pretese d’imboccare scorciatoie che si rivelano vicoli ciechi.

   Insomma, assolutizzare un testo della Scrittura sulla preghiera è pericoloso. Metterlo in relazione con tutto il consiglio di Dio è, invece, la cosa da fare per una vita di preghiera appassionata e trascinante. La preghiera di Iabez, incastonata com’è nella storia delle Cronache, è un gioiello di fede e di audacia su cui meditare profondamente. È davvero un peccato correre il rischio di farne un idolo fuorviante.

l.d.c.