Domenica della memoria 2003 - Aonio Paleario

Aonio Paleario (1503-1570)

Aonio Paleario (= Antonio della Paglia) nacque a Veroli (FR) nel 1503.

            Compì studi letterari, filosofici e teologici a Padova e a Siena, manifestando inizialmente grande attrazione per il pensiero umanistico di Erasmo e per  i progressi della filosofia in Germania e in Francia.

            Tali interessi lo condussero ben presto a guardare con occhio critico a tutta la dottrina della Chiesa di Roma e, dopo aver nutrito per un certo periodo la speranza di accorpare la “novità luterana” ai dogmi del Vaticano, cominciò a manifestare più apertamente la propria simpatia nei confronti della Riforma.

            È del 1534, il poema filosofico De animorum immortalitate, nel quale esprimeva vivo interesse per la tanto dibattuta questione dell’immortalità dell’anima e, soprattutto, anticipava l’idea dominante, che avrebbe accompagnato la sua riflessione teologica fino alla morte: il beneficium sanguinis Christi, cioè, il dono di Dio della salvezza gratuita all’umanità mediante la morte di Cristo sulla croce.

            Dal 1536 al 1546 Aonio Paleario visse a Siena come precettore dei figli del suo amico Antonio Bellanti, morto nel 1536. Nel 1537 sposò Marietta di Agostino di Piero Guidotti, una giovane di Colle Val d’Elsa, luogo dove andò ad abitare nel 1538.

            Le frequenti soste del Paleario nei luoghi nativi della moglie e l’eco dei suoi incontri con gli amici letterati, in cui sembrava che fossero affrontati anche argomenti assai pericolosi dal punto di vista dottrinale, indussero il maestro di teologia, Vittorio da Firenze, a predicare, proprio a Colle Val d’Elsa, contro la “congrega protestante che si era raccolta attorno al Paleario”.

            All’accusa, Aonio rispose con un’apologia intitolata Pro se ipso, che dev’essere considerata la sua professione di fede e nella quale si ergeva a difesa della libertà di coscienza e della fede cristiana. All’apologia fece seguito un’operetta intitolata Della pienezza, satisfazione et sufficienza del sangue di Cristo, in cui sosteneva che l’infamia del peccato originale era stata cancellata per sempre dal sacrificio di Cristo sulla croce.

            Nel 1546 Aonio fu chiamato a Lucca come professore di lettere greche e latine nelle scuole superiori. Durante i nove anni in cui insegnò nella repubblica, strinse amicizia con le persone più influenti della città e con la cerchia dei seguaci della Riforma.

            È di questo periodo la sua lunga corrispondenza con Celio Secondo Curione, già esiliato in Svizzera, la cui figlia, Dorotea, era rimasta a Lucca nella casa di Niccolò Arnolfini, dopo la fuga precipitosa del padre. Da Lucca, dopo un breve periodo nel paese della moglie, il Paleario si trasferì a Milano, dove, oltre a insegnare nelle scuole palatine, ebbe l’opportunità di coltivare con decisione il sogno di portare le idee della Riforma al di qua delle Alpi. Ma fu proprio questa grande prospettiva a provocare i grandi ostacoli che avrebbero sconvolto la sua esistenza.

            Il 13 gennaio 1559, infatti, Vittorio da Firenze, il suo avversario degli anni giovanili di Colle Val d’Elsa, giunto a Milano, lo denunciò all’Inquisizione lombarda sulla base delle affermazioni contenute nell’orazione Pro se ipso.

            Come nel 1542, anche questa volta Aonio riuscì a sfuggire alla condanna, ma dovette capitolare otto anni dopo, quando fu nuovamente denunciato perché amico dell’eretico napoletano Camillo Renato.

            Resosi conto che gli restavano poche speranze di libertà, il Paleario consegnò a Teodoro Zwinger – che poi la trasmise a Bartolomeo Orelli – l’ultima e più pericolosa delle sue opere: l’Actio in pontifices romanos. Divisa in venti tesi, essa rappresenta la testimonianza definitiva della completa adesione del Paleario alle dottrine della Riforma.

            Nel 1567, l’umanista fu chiamato a Roma per rendere conto delle mancate emendazioni all’ultima edizione dell’orazione Pro se ipso. Consapevole che la sua comparsa davanti al Sant’Uffizio romano sarebbe concisa con una condanna definitiva, Aonio tentò di rimandare la partenza.

            Costretto a ubbidire, nel 1568 raggiunse la città dei papi e, dopo due anni di processi e di carcere, e alcuni tentativi, tanto umilianti quanto inutili, per indurlo a ritrattare, Aonio fu condannato e ucciso il 7 luglio 1570.

 Dalla prefazione del Compendio del trattato sulla giustificazione per fede, di Antonio Paleario:

 “Questo trattato fu primariamente pubblicato a Venezia nel 1543 e fu giudicato dai contemporanei il libro più adatto (in lingua italiana almeno) ad istruire gli ignoranti e i deboli, specie sulla dottrina della giustificazione. Subito dopo la sua pubblicazione divenne popolarissimo. Vergerio, vescovo di Capodistria, afferma che nello spazio di sei anni, se ne vendettero a Venezia 40.000 esemplari. Fu tradotto in tedesco, inglese, francese e in altre lingue. Ma tale era allora la potenza dell’Inquisizione, che in meno di cinquant’anni tutti questi esemplari in diverse lingue furono raccolti e bruciati, a tal punto che vari autori dichiararono che «quest’opera non si sarebbe più trovata». Ma nell’università di Cambridge fu rinvenuta nel 1855 una copia dell’edizione italiana del 1543 con una copia di una traduzione francese del 1552 e un’altra della versione inglese del 1548.”

 Samuele Rasora