Impegno cristiano e diritti umani

Per il 70° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani

Roma (AEI), 10 dicembre 2018 – Così parla il SIGNORE:Esercitate il diritto e la giustizia; liberate dalla mano dell'oppressore colui al quale è tolto il suo; non fate torto né violenza allo straniero, all'orfano e alla vedova; non spargete sangue innocente, in questo luogo (Geremia 22,3)

Il 10 dicembre 1948 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approva con 48 voti favorevoli e 8 astensioni, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Dal duro confronto emerge una condivisione di fondo che cerca di realizzare il dettato dell’articolo 1 della carta costitutiva delle Nazioni Unite: promuovere e incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti, senza nessuna distinzione di sesso, di razza, di lingua o di religione. Nata dalle ceneri della seconda guerra mondiale, la Dichiarazione è chiaramente uno strumento per riaffermare le fondamenta della vita, della dignità e della libertà di tutti gli uomini.
La Commissione che elabora il testo, presieduta da Eleanor Roosevelt, vede la partecipazione di personaggi di primissimo piano, ad esempio: René Cassin (giurista francese e Nobel per la pace), Peng-Chun Chang (studioso confuciano), John Peter Humphrey (giurista Canadese), Charles Malik (cristiano maronita libanese) e Jacques Maritain (filosofo cattolico francese). Il lungo processo ha garantito comunque l’interazione e l’ascolto di molte altre posizioni (religiose e ideologiche)a vario titolo rappresentate nei lavori della Commissione.

Alla fine dei lavori, quando a Maritain fu chiesto come fosse possibile tenere assieme posizioni così apparentemente divergenti e riuscire a trovare l’accordo sull’elenco definitivo dei diritti fondamentali, la sua risposta fu al tempo stesso disarmante e illuminante: “Si, abbiamo trovato l’accordo sui diritti, ma a condizione che nessuno ci chieda “perché?”.

Il testo è stato da subito pensato non come sintesi di posizioni ideologiche diverse e distanti, ma come connessione fondamentale tra culture, come strumento di convergenza tra principi che possano facilmente rilevarsi utili all’azione e alla promozione umana. Dal 1948, a partire dalla Dichiarazione, diversi organismi internazionali sono riusciti ad elaborare diversi strumenti per la promozione dei diritti umani: da quelli riferibili alle libertà (parola, stampa, religione, ecc.) ai diritti riferibili al benessere (istruzione, lavoro, salute, ecc.).Si è così costruita una rete di diritti finemente interrelata, indivisibile e interdipendente al punto da non permettere una promozione parcellizzata ed episodica dei diritti umani.

Gli articoli 2 e 18 della Dichiarazione, inoltre, precisano una categoria di diritti - libero pensiero, coscienza e religione – che fin da subito ha raccolto l’attenzione di tutti i cristiani.

La relazione tra cristiani e diritti umani è stata comunque una relazione complessa, soprattutto nel XX secolo. Complessità sostenuta da un lato dalle violazioni dei diritti umani compiute dagli stessi cristiani, dall’altro dalla convinzione (o dal pregiudizio) che tali diritti rappresentino nella migliore delle ipotesi una pericolosa forma di religione secolare, di umanismo che autocelebra le sue virtù: somiglianti più a Hobbes o Locke, più che ai tratti del Vangelo.

Il linguaggio morale e politico della dichiarazione universale dei diritti umani è stato, però, il frutto della riflessione sui diritti naturali sviluppatasi nell’alveo del pensiero giuridico dell’occidente cristiano già a partire dal Medio Evo e da allora è stato usato diffusamente da filosofi, teologi e giuristi. Da tale bacino sono emerse molte delle riflessioni, ancora oggi ritenute fondanti, che sulla base di precise coordinate bibliche rilanciano e sostanziano il pensiero e l’impegno dei cristiani (e non solo loro) per i diritti umani fino ai giorni nostri:  a) in primo luogo, i diritti umani sono una chiara affermazione della dignità umana, come donne e uomini siamo cioè tutti creati ad immagine di Dio (Gen 1,26-27; Gen 2,7; Gen 9,5-6; Sal 116,15);
b) in secondo luogo, rappresentano una solida base per l’uguaglianza di tutti gli uomini (Lc 12,24; Mt 6,26);
c) poi, i diritti umani sono un appello alla responsabilità. Invitandoci ad amare e servire il nostro prossimo, la Bibbia ci invita, infatti, ad impegnarci per gli altri e i loro diritti, anche a costo di rinunciare ai nostri (Mt 25,31-46).

In questa prospettiva sono dunque da respingere tutti quei tentativi – tipici del nostro tempo - di estendere, diluire e strattonare i diritti umani a favore di rivendicazioni egoistiche e quindi a scapito dei diritti di altri.

A 70 anni dalla Dichiarazione le comunità cristiane possono ancora essere un modello per l’intera società civile, contesti dove principi quali la dignità, la responsabilità e l’uguaglianza siano riconosciuti e onorati. I diritti umani aprono così, naturalmente, a una visione di ciò che è davvero importante, inviolabile e universalmente riconoscibile.

Come cristiani evangelici abbiamo la responsabilità di dimostrare l’amore di Cristo attraverso la predicazione del vangelo e l’impegno sociale (Patto di Losanna § 5, Impegno di Città del Capo). Il 70° della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ci sfida a fare la differenza. Ed è per questo motivo che il pensiero e l’impegno cristiano non possono dimostrarsi rinunciatari nei confronti di una delle più grandi sfide del mondo contemporaneo.

Giuseppe Rizza, coordinatore del distretto Nord-Est dell’Alleanza Evangelica Italiana; membro della Commissione socio-politica dell’Alleanza Evangelica Europea.


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si terrà sabato 4 maggio 2019 a Roma.