Ideaitalia - Nuova serie, Anno IV · n. 28 · 10 giugno 2020

Domenica del rifugiato 2020 (I): “Una stessa legge, un solo Dio”

L’appuntamento è per domenica 14 o 21 giugno

Roma (AEI), 10 giugno 2020 – L’Alleanza Evangelica Mondiale, in collaborazione con la Refugee Highway Partnership invita anche le chiese italiane ad osservare la Domenica del Rifugiato il 14 o il 21 giugno 2020. Questa iniziativa si svolge in concomitanza con la Giornata Mondiale del Rifugiato indetta dalle Nazioni Unite ed è finalizzata a stimolare la preghiera e l’azione degli evangelici.

Dolore, sofferenza e morte sono diventate parte integrante della nuova normalità globale. Il dolore e la prostrazione hanno conosciuto nuove forme di recrudescenza per molti profughi a cause delle difficoltà globali. In tutto questo la chiesa di Cristo ha l’opportunità di crescere nella conoscenza di quanto accade e di essere attiva nella preghiera, nel sostegno di opere di misericordia, nell’evangelizzazione, nell’integrazione. Il desiderio è che nelle domeniche del Rifugiato la chiesa preghi per 71 milioni di sfollati nel mondo (numero in aumento ogni anno) a causa dei conflitti armati, persecuzioni e difficoltà di ogni genere. Agli scenari di guerra cronici (Afghanistan, Siria, Libia ad esempio) si aggiungono quelli della storia più recente, e in tutto il mondo i profughi sono numericamente di più rispetto allo scenario della Seconda guerra mondiale. Il mondo soffre sempre di più sotto questo profilo.

Il tema scelto per quest’anno dalla WEA è “una stessa legge, un solo Dio”, da Levitico 24:22. Il Dio della Bibbia ha, senza cali di tensione nella storia, agito nei confronti dei popoli della terra con la stessa cura ricolta in particolare nei confronti degli emarginati, inclusi gli sfollati e stranieri, istruendo il Suo popolo alla stessa cura e dedizione. Il profugo molto spesso non viene trattato con giustizia e viene derubato della sua dignità dalle nazioni ospitanti. La questione spinosa, ad esempio, in Europa sulla ripartizione dei richiedenti asilo non è mai stata risolta alla fonte.

L’Alleanza Evangelica Europea ha recentemente pubblicato un documento sulla situazione dei migranti in Europa, coraggioso ed ambizioso, che rispetta il valore di ogni persona e richiama le chiese, ma anche gli Stati membri, a fare la propria parte e non perdere l’occasione di accogliere e sostenere chi porta in sé l’immagine di Dio, a prescindere dalla provenienza. (VM)


Domenica del rifugiato 2020 (II): alcuni soggetti di preghiera

Gli ultimi saranno i primi

Roma (AEI), 10 giugno 2020 – In occasione della Giornata del rifugiato, ecco alcune situazioni per la preghiera nelle nostre chiese:

- I campi profughi e centri di detenzione affollati, dove l’infezione da Covid-19 può contagiare molto facilmente
- I milioni di profughi dall’Asia al Medio Oriente all’America Latina che fanno fatica a mettere del cibo sulla tavola
- I profughi dai Paesi già colpiti duramente dalla guerra, che devono affrontare anche l’attuale crisi globale (sanitaria, economica, politica)
- La disperazione di alcuni profughi, che non trovando risposte nei Paesi ospitanti, rientrano nel proprio, sapendo che là moriranno.
- Tutte le opere in Italia che lavorano tra i profughi (come abbiamo anche sentito nella Giornata di Preghiera per le Missioni in Italia il 30 maggio scorso).

L’Alleanza Evangelica Europea offre a tutte le chiese altro materiale utile per la preghiera in occasione della Domenica del Rifugiato 2020. (VM)


Il caso George Floyd e gli evangelici

Ritrovare l’eredità smarrita dell’azione sociale

Roma (AEI), 10 giugno 2020 - Sono passati 15 giorni dagli avvenimenti di Minneapolis sfociati nella morte di George Floyd. Il 46enne afroamericano, originario di Houston e padre di due figli, è deceduto a causa delle violenze gratuite e dell’abuso di potere da parte di forze di polizia. Le riprese video di alcuni passanti hanno fatto luce su una realtà gravissima: quella dei soprusi procurati da chi è in autorità e talvolta alimentati da sentimenti di odio razziale. L’episodio non è un caso isolato: negli Stati Uniti questo è solo l’ennesimo di una lunga serie. E il problema non è nemmeno solo americano, anzi, riguarda certamente anche il nostro paese. Il caso Cucchi ha visto l’individuazione di chiare responsabilità tra le forze dell’ordine solo ad un decennio dai fatti. Giustizia è arrivata dopo molto tempo anche per le violenze alla scuola Diaz di Genova. Altri fatti di cronaca nera che hanno coinvolto le forze di polizia sono rimasti senza colpevoli per diversi decenni (caso emblematico è l’omicidio di Giorgiana Masi avvenuto nel 1977 sul Ponte Garibaldi durante una manifestazione a Roma).

La morte di Floyd ha sollevato una protesta enorme e non solo negli Stati Uniti. In qualche caso essa è sfociata in ulteriore violenza determinando così un circolo vizioso che può solo acuire le discriminazioni e l’odio. La domanda che dovremmo porci in una simile circostanza sarebbe: cosa hanno da dire gli evangelici su George Floyd, sull’odio razziale, sulle ingiustizie e sull’abuso di potere? A guardarci intorno sembrerebbe che l’evangelicalismo abbia poco da dire: poche sono le riflessioni significative ed in generale l’episodio viene vissuto come qualcosa di estraneo dove il nostro contributo è assente o solo marginale. Ma non dovrebbe essere così almeno per due grandi motivi.

Innanzitutto la trama biblica ci consegna numerosi insegnamenti applicabili al contesto dell’odio, dell’abuso di potere e della violenza. Già in Genesi la vicenda di Caino e Abele (Gn 4) offre uno spaccato tra la cultura della sopraffazione e quella dell’amore. Le vicende di Abramo nel paese di Gherar (Gn 20) vedono il Signore quale protagonista di un’azione riprensiva verso il patriarca per il suo atteggiamento omertoso e defilato. La storia si ripete con Isacco (Gn 26), come a significare che spesso siamo tardi a capire la Sua Volontà. Si passa poi agli abusi commessi dai fratelli su Giuseppe messi a contrasto con la capacità di quest’ultimo di gestire il suo potere con moderazione, amore ed equilibrio (Gn 37 e 42-45). La storia di Mosè ci presenta un uomo insofferente alle ingiustizie (Es 2:16-17): egli passa dalla reazione violenta (Es 2:11-12) fino a condurre un’azione pacifica a tutto campo per liberare il popolo d’Israele dall’oppressione egiziana. La Torah ma anche tutto l’Antico Testamento ci presentano un’etica per lo straniero sorretta dai principi di accoglienza e responsabilità. Il chiaro/scuro tra la magnanimità del giovane Davide e le azioni sconsiderate del re Saul suonano come una condanna degli abusi di potere verso chi è in autorità. Nei sapienziali la giustizia e l’equilibrio costituiscono emblema di vera regalità. Tra i profeti spesso la riprensione di Dio è azionata dalle ingiustizie e dagli abusi di chi ha potere. Nel Nuovo Testamento si moltiplicano gli appelli all’equilibrio, alla magnanimità. Il Signore Gesù indica la categoria della giustizia come fondamentale per il suo ministero (Mt 3:15). Essa è struttura portante delle beatitudini (Mt 5:6,10) ed è associata a doppio mandato al tema del Regno di Dio (Mt 5:20; 6:33; 13:43; Rm 14:17). Mentre le parabole e i gli insegnamenti di Gesù si focalizzano sul governare con giustizia e moderazione, gli Apostoli offrono a più riprese applicazioni pratiche di magnanimità per chi è in posizione di potere (Ef. 5:22-30; 1 Pt 3:1-7; Cl 3:18-26; Filemone). Una tale ricchezza biblica sul tema contrasta col nostro immobilismo sociale e dipingono le fughe dei credenti dalle sfide socio politiche come un atteggiamento ribelle agli insegnamenti del Vangelo.

In secondo luogo la storia dell’evangelismo ci indica che la giustizia sociale deve avere un posto importante seppure non totalizzante nella missione cristiana: come ci ricordano il Patto di Losanna e il Manifesto di Manila la missione è rilevante se sa essere sia verticale (salvezza delle anime) sia orizzontale (azione sociale). Per avere esempi concreti di come gli Evangelici possano fare la differenza partiamo dall’esempio del politico britannico William Wilberforce che lottò incessantemente e con successo dal 1786 al 1833 per l’abolizione del commercio degli schiavi africani e contro la stessa schiavitù. Nell’intestazione di uno dei suoi scritti politici (“An Appeal to religion, justice and humanity of the inhabitants of British Empire”) Wilberforce pone due raccomandazioni bibliche del tutto appropriate: “Guai a colui che costruisce la sua casa senza giustizia e le sue camere senza equità, che fa lavorare il prossimo per nulla, non gli paga il salario” (Gr 22:13) e “Pratica la giustizia, ama la misericordia” (Michea 6:8).

Nella storia più recente con risolutezza possiamo fare una veloce disamina dei Premi Nobel per la Pace. La prima edizione fu assegnata all’evangelico risvegliato Henry Dunant (Nobel 1901) che fondò la Croce Rossa e diede impulso alle Convenzioni di Ginevra. Che dire di Martin Luther King (Nobel 1964), il pastore battista che condusse la più grande battaglia pacifica per i diritti civili degli afroamericani? Ma anche di recente gli ultimi due anni hanno visto premiare il medico pentecostale congolese Denis Mukwege (Nobel 2018) per il suo impegno in favore di donne vittime di stupro anche da parte di persone in autorità, e il politico pentecostale etiope Abiy Ahmed Ali (Nobel 2019). Da ciò possiamo imparare che quando gli evangelici trovano spunto dalla Parola di Dio per un’azione socio politica incisiva e determinata, allora Dio benedice quegli sforzi con risultati del tutto inaspettati. Se stiamo agendo poco in favore della giustizia significa non solo che siamo lontani dal Vangelo e dalla Scrittura, ma anche che siamo immemori o ignoranti di ciò che Dio ha già fatto e benedetto.

Che il caso Floyd possa suscitare un sussulto di giustizia tra gli evangelici e mettere in azione una progettualità che la creazione aspetta con impazienza. (GC)


Un “Piano Colao” per l’evangelismo italiano?

Uno spunto per il futuro della testimonianza evangelica

Roma (AEI), 10 giugno 2020 – Cosa sarà dell’Italia tra 5 anni? Mentre si fronteggiava l’emergenza del virus, il Governo italiano ha nominato, tra le altre, una task-force presieduta da Vittorio Colao per immaginare una via di uscita dell’Italia dalla crisi che la pandemia ha acutizzato. Ora, questo gruppo di lavoro ha prodotto un piano, il “Piano Colao”, per l’appunto. Esso contiene una visione per la ripartenza dell’Italia dalla crisi facendo lo sforzo di immaginare la realizzazione di una Italia nuova e diversa i cui capisaldi sono la digitalizzazione e l’innovazione nel pubblico e nel privato, la rivoluzione verde, la parità di genere e l'inclusione. Questi ultimi sono il "vangelo" secolare del “Piano Colao” da cui si diramano 53 pagine di proposte concrete. Quanto sia realistico e realizzabile è presto per dire. Ciò che interessa qui sottolineare è che il Piano ha una visione di “futuro”, immagina il dopodomani della società italiana e individua qualche passo per un movimento in avanti.

Prendendo spunto da tutto ciò, forse è utile chiedersi se non sia utile (se non proprio urgente) una sorta di “piano Colao” per l’evangelismo italiano: uno sforzo per immaginare un futuro diverso per la testimonianza evangelica in Italia dopo una lunga, lunghissima stagione di crisi. In genere, la narrazione evangelica è stata scritta con l’inchiostro della negatività (tribalismi, particolarismi) e sulla carta dell’emergenza (minoranze con pochi diritti, infrastrutture fragili, molti fallimenti accumulati). Se ci si confronta tra evangelici sul presente e sul futuro della testimonianza, si raccolgono voci pessimiste, se non disfattiste.

Molti elementi di questa percezione negativa sono realistici e non possono essere superati solo invocando retoricamente un “risveglio”. Tuttavia, la stagione della pandemia che abbiamo vissuto ha acceso due spie di speranza che non possiamo trascurare o archiviare frettolosamente. Infatti non era mai successo che quasi tutto l’evangelicalismo italiano partecipasse ad una iniziativa di preghiera comune per il Paese (22 marzo 2020). Di fronte alla crisi, come credenti in Gesù Cristo abbiamo pregato insieme. Non è stato questo un evento diverso rispetto alla frase trita e ritrita secondo cui sono “pochi e ben divisi”? Abbiamo pregato insieme, ci siamo ritrovati in preghiera per i malati, per le autorità, per le chiese, per l’Italia. Non era mai successo prima e questo fatto non è per niente trascurabile.

Sulla scia della preghiera comune, nel momento in cui si è reso necessario affrontare la “fase 2” della riapertura dei locali di culto, una fetta consistente di quel fronte evangelico unitario che si era ritrovato nella preghiera è confluito in un “comitato di scopo” per affrontare insieme il confronto con le Autorità. Questo lavoro è sfociato nella sigla del “Protocollo” del 15 maggio dopo il quale sono ripresi i culti pubblici e di presenza. Anche in questo caso si è trattato di un evento unico. In precedenza, simili questioni venivano delegate ai rappresentanti di una specifica confessione in ragione dei trascorsi negoziali con lo Stato oppure ognuno avrebbe cercato indipendentemente (e spesso vanamente) una via d’uscita soltanto per sé. Questa volta, invece, siamo andati avanti insieme e uniti.

Abbiamo realizzato che non possiamo solo pregare insieme (e già questo è un grande dono!), ma che possiamo anche affrontare insieme questioni di comune interesse per quanto riguarda la testimonianza pubblica dell’evangelo. Anche questo va in controtendenza rispetto alle letture ciniche e disfattiste.

Paradossalmente, la pandemia ha fatto del bene all’evangelismo italiano. Ora ci dobbiamo chiedere: alla luce di questi due fatti importanti e ravvicinati, non è venuto il momento per uno scatto in avanti? Non è arrivato il tempo per la convocazione degli “stati generali” dell’evangelismo italiano per fare il punto della situazione e immaginare insieme il domani? Non è il momento per un “piano Colao” evangelico che raccolga uomini e donne timorati di Dio che sognano un futuro diverso per la testimonianza evangelica nel nostro Paese? Se ci sarà un futuro, esso non potrà che essere vissuto insieme e trasversalmente rispetto alla varietà della famiglia evangelica; non alcuni senza gli altri, ma ciascuna espressione del popolo evangelico con le altre in vista di una riforma e di un risveglio secondo l’evangelo. Chi è pronto per gli “stati generali”? Chi può dare un contributo per un “piano Colao” dell’evangelo che immagini in preghiera e in azione un futuro diverso per le chiese e per l’Italia? (LDC)

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A cura dell’Ufficio stampa dell’Alleanza Evangelica Italiana
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Redazione: Lucia Stelluti, Chiara Lamberti, Leonardo De Chirico, Giovanni Marino, Stefano Bogliolo, Sergio De Blasi, Carine Francq.

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