Il rapporto di Ginevra 2001 - Commissioine sulla libertà religiosa

Domenica 4 o domenica 11 novembre 2001 - Giornata internazionale di preghiera per la chiesa perseguitata

Il Rapporto, di cui pubblichiamo le parti salienti, è stato redatto dalla Commissione sulla Libertà Religiosa della WEA (l’Alleanza evangelica mondiale) e presentato nella sede delle Nazioni Unite a Ginevra. Ricordiamo che la WEA svolge da anni, all’interno dell’ONU, un prezioso lavoro di consulenza, per il quale, nel 1997, le è stato riconosciuto lo statuto speciale di Membro Consultivo in ambito economico e sociale. Chi desidera leggere il Rapporto per intero (in lingua inglese) potrà trovarlo sul sito internet della WEA (www.worldevangelical.org). Considerato che alcune situazioni trattate nel Rapporto non sono molto distanti da quella italiana, esortiamo le chiese a dibattere sui contenuti del Rapporto e a produrre documenti e analisi che aiutino il popolo di Dio in Italia a essere più tempestivo e vigilante. N.B.: La scelta della domenica (4 o 11 novembre) è a discrezione delle chiese locali. (Red.)

 

Introduzione

È sbalorditivo, per molti, che nel nostro mondo moderno vi siano oltre 200 milioni di persone che, a causa della propria fede, sono ancora totalmente private dei diritti descritti dall’art. 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. È questa la situazione che ha dato origine al presente Rapporto. La WEA rappresenta più di 150 milioni di evangelici sparsi in 114 Paesi del mondo, ma sostiene e accentua tenacemente il diritto di ogni individuo ad avere e a praticare le proprie convinzioni religiose, o a non averne affatto. Pur avendo di mira principalmente l’analisi delle attuali tendenze che minacciano la libertà religiosa dei cristiani, il Rapporto suggerisce anche azioni concrete e attuabili in tutti i Paesi e per tutte le religioni. La libertà religiosa non è un accessorio extra rispetto ai diritti umani fondamentali: è la ragione stessa dell’esistenza di una persona e di ciò in cui crede, riguarda il tempo e l’eternità, è alla base di tutti i diritti umani, è inseparabile dalla libertà di opinione e di espressione o di viaggiare e di associarsi.

Johan Candelin

(Direttore della Commissione sulla Libertà Religiosa della WEA)

 

IL RAPPORTO DI GINEVRA 2001

Il perenne principio universale dei diritti umani e della libertà religiosa

La nozione che certi diritti siano inerenti all’esperienza umana è riflessa nel principio universale meglio noto come la “Regola d’oro” (“Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro; perché questa è la legge e i profeti”, Mt 7:12), un principio che, in varie forme, è presente in ogni società e religione.

Tutti i gruppi minoritari  (siano essi religiosi, etnici, politici, razziali ecc.) davanti alla legge desiderano un trattamento giusto ed equo. La “Regola d’oro” consiglia ai potenti di essere sensibili verso chi non ha potere e di trattarli con la medesima cura e deferenza che ricercano per sé stessi nei Paesi in cui occupano una posizione di potere.

Nonostante l’aumento della secolarizzazione, negli ultimi decenni si è anche assistito, un po’ dappertutto, allo sviluppo di un interesse e di un impegno di tipo religioso. La libertà religiosa è il test determinante per ogni altra libertà umana, perché laddove essa manca, mancheranno anche altre libertà basilari. L’art. 18 della Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo attesta che “ognuno ha il diritto di libertà di pensiero, coscienza e religione; questo diritto comporta la libertà di cambiare fede o religione e la libertà, da solo o insieme con altri, in pubblico o in privato, di manifestare la propria fede o religione, mediante l’insegnamento, la pratica, l’adorazione e l’osservanza”.

La WEA ritiene che le chiese associate debbano cercare, non soltanto di auto-proteggersi, ma anche di assistere coloro che soffrono per le proprie convinzioni e di parlare in nome di coloro che sono perseguitati.

Si è scoperto che la discriminazione e la persecuzione, quale che sia la fede religiosa verso cui sono rivolte, seguono un modello ben definito. Per questo motivo, sebbene l’attenzione del presente Rapporto sia rivolta principalmente alla comunità evangelica, le medesime analisi possono essere applicate anche ad altre fedi.

L’infido pendio che va dall’intolleranza alla persecuzione

Primo stadio: la disinformazione passiva

La disinformazione passiva si manifesta quando un gruppo minoritario è diffamato, vilipeso o ingiustamente attaccato, in maniera privata o tramite i mass-media. È ben difficile che la minoranza attaccata abbia la possibilità di replicare usando i medesimi strumenti.

Nei casi più seri, bisognerebbe prendere in esame la possibilità di usare la stampa o di adire pubblicamente alle vie legali, intentando una causa per diffamazione.

Benché vigilare sulla scrupolosità ed esattezza dei mass-media non rientri nelle responsabilità dello Stato, esso è in ogni caso chiamato a tutelare, sul piano legale, l’effettivo e corretto giudizio di una causa per diffamazione, così che le minoranze possano usufruire di queste protezioni.

Secondo stadio: la disinformazione attiva

La disinformazione attiva si manifesta quando lo Stato utilizza i mass-media pubblici per mettere in cattiva luce le fedi minoritarie agli occhi dell’opinione pubblica, creando in tal modo una barriera insormontabile per le minoranze che hanno scarsi mezzi per replicare. Un modello di disinformazione attiva è la Francia (vedi Appendice).

Terzo stadio: la discriminazione passiva

La disinformazione prepara il terreno che conduce l’opinione pubblica alla discriminazione. Lo Stato può avere qui un ruolo passivo, quando chiude gli occhi davanti alle discriminazioni operate da privati cittadini nei confronti di minoranze religiose impopolari. Per esempio, consentendo tacitamente che gli appartenenti a tali minoranze siano trattati come cittadini “di seconda categoria” nel mondo del lavoro e dell’educazione, oppure non intervenendo in loro favore. (Vedi l’esempio della Grecia nell’Appendice.)

Quarto stadio: la discriminazione attiva

La discriminazione è attiva quando lo Stato, attraverso la propria legislazione, adotta norme che negano ai membri di minoranze religiose la possibilità di praticare la propria fede con la medesima libertà di cui godono, invece, le fedi dominanti.

Un esempio di discriminazione attiva lo troviamo in Nigeria e in Egitto.

Quinto stadio: persecuzione passiva

Quando lo Stato discrimina in modo passivo o attivo, il terreno per la persecuzione è fertile, e i suoi cattivi frutti non si fanno attendere. La persecuzione perpetrata da privati cittadini (come gli estremisti religiosi), può andare dalla distruzione delle proprietà alla tortura e perfino all’omicidio.

Quando lo Stato non alza un dito contro chi infrange la legge, si rende complice del male fatto e viene quindi meno agli standard internazionali di governo richiesti.

Sesto stadio: la persecuzione attiva

Il pendio verso la persecuzione raggiunge il suo punto infimo quando lo Stato partecipa attivamente alla distruzione o alla confisca delle proprietà, all’arresto, alla tortura o all’esecuzione capitale dei credenti di  minoranze religiose a motivo della loro fede.

A questo stadio, lo Stato, non soltanto vìola il principio di condotta espresso dalla “Regola d’oro” universalmente accettata, ma si pone in aperto e diretto contrasto con gli standard internazionali definiti dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo e dalla Carta delle Nazioni Unite.

Il ruolo della legge nel proteggere i diritti religiosi umani

La legge è lo strumento principale che ha lo Stato per raggiungere i propri obiettivi, definire e proteggere i diritti dei propri abitanti, ed equilibrare i conflitti d’interesse fra le varie parti. In quanto tale, la legge può essere strumento sia di oppressione e persecuzione sia di emancipazione e liberazione. In una società totalitaria nulla è permesso senza specifica concessione da parte dello Stato. In società di questo tipo, lo Stato cerca di proteggere e promuovere solo i propri interessi, mentre il ruolo dei cittadini si riduce a quello di servitori dello Stato e del suo entourage. Quando, invece, lo Stato applica la legge mirando a un buon governo, la sua legittimità e autorità è confermata.

Questi principî si rafforzano a vicenda. I cittadini che riconoscono i sani principî delle leggi e si fidano del sistema legislativo, pongono fiducia in coloro che li governano, e così lo Stato ha meno necessità d’imporre la propria autorità.

La legge internazionale

La Carta delle Nazioni Unite è l’espressione più concreta e tangibile della legge internazionale. La tendenza a riferirsi alla legge internazionale come a uno strumento per la protezione degli individui prende origine dalla Carta, la quale dichiara che uno degli scopi delle Nazioni Unite è di promuovere “il rispetto, l’osservanza, i diritti umani e le libertà fondamentali di tutti, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione”. La Carta vincola tutti gli Stati membri. Dopo la sua adozione, nel 1945, le Nazioni Unite, per rafforzare e garantire i principî in essa espressi, produssero vari trattati e dichiarazioni.

Una di esse (la Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo, del 10 dicembre 1948) salvaguarda specificamente la libertà religiosa. Anche questa Dichiarazione, secondo gli statuti della legge internazionale, vincola tutti gli Stati membri e richiede che le loro leggi interne vi si conformino.

Appendice

 Questa sezione non intende fornire un’informazione dettagliata di tutti i Paesi dove esistono violazioni della libertà religiosa (a questo scopo, si consultino altre fonti), ma  ha l’obiettivo di tracciare un quadro della situazione in alcuni Paesi, attirando l’attenzione su problemi particolari e illustrando l’analisi fatta in precedenza.

Esempi di progresso

 L’Albania, la Bulgaria e la Mongolia forniscono un eccellente esempio di enormi mutamenti nella loro situazione di libertà religiosa. Negli ultimi dieci anni, questi Paesi sono passati da una condizione di duro totalitarismo (comunista, ortodosso e islamico) al l’accettazione dei Diritti dell’uomo, e della libertà religiosa in particolare. L’Albania, un Paese totalmente chiuso, e unico al mondo a dichiararsi ufficialmente “ateo”, nel 1991 ha introdotto al proprio interno la democrazia e concesso a tutte le fedi, non soltanto di entrare, ma di avere anche libertà di esercizio. Il 22 novembre 1998, tramite referendum, l’Albania ha adottato una nuova costituzione, che contiene molti riferimenti alla protezione della libertà religiosa.

Anche in Bulgaria e in Mongolia la situazione va via via normalizzandosi; a livello ufficiale, tutte le fedi sono alla pari e hanno i medesimi diritti. Sul piano locale, però, permangono disuguaglianze.

Esempio di disinformazione attiva

Ha suscitato preoccupazione una recente proposta di legge in Francia, che, per il reato di “manipolazione mentale”, prevede fino a due anni di carcere per le sètte e i “culti” che fanno proselitismo. La legge mira a limitare la diffusione di quelle che i giudici francesi hanno chiamato 173 “sètte pericolose”.

Lo Stato avrebbe, quindi, il potere di sciogliere gruppi religiosi e affibbiare condanne fino a cinque anni di carcere o multe fino a cinque milioni di franchi.

I rappresentanti di molti gruppi religiosi hanno espresso preoccupazione, perché questa legge, peraltro molto vaga sulla definizione di setta, potrebbe incoraggiare discriminazioni per motivi religiosi (per maggiori informazioni sul dibattito in corso in Francia, vedi Ideaitalia, marzo 2001).

L’esito finale di questa legge è molto importante, perché la Francia, come Paese membro dell’UE, potrà rappresentare un “precedente” per i Paesi dell’Est europeo e la Russia, dov’è attualmente in fase di elaborazione una normativa che regoli i gruppi religiosi e definisca la “libertà di religione”.

Esempio di discriminazione passiva

 Per oltre 60 anni, lo Stato greco ha richiesto che sulla carta d’identità di ogni cittadino fosse indicata anche la fede di appartenenza.

Di conseguenza, per molti evangelici e gruppi religiosi, ciò ha comportato discriminazioni in diversi settori della vita pubblica (vedi Ideaitalia, gennaio 2001). Alcuni mesi fa, il Primo Ministro ellenico ha deciso di eliminare questa informazione dalla carta d’identità, scatenando le ire della Chiesa greco-ortodossa.

Inoltre, in un recente caso a Salonicco, un pubblico ministero ha invitato il presidente della corte a sostenere la modernizzazione della legge ellenica, per armonizzarla con le decisioni della Corte Europea per i Diritti dell’uomo.

Per ulteriori informazioni su esempi di questo tipo, si rimanda al sito web citato nella nota redazionale nella prima facciata dell’inserto.

Raccomandazioni

Non è realistico attendersi il passaggio rapido di un Paese da una condizione in cui l’abuso dei Diritti dell’uomo avviene di norma, a una condizione di piena accettazione della libertà religiosa. Nessun Paese al mondo è oggi immune da questo problema.

Nel pubblicare il presente Rapporto, incoraggiamo i vari Paesi a “risalire la china”, per raggiungere una sempre maggiore libertà religiosa al proprio interno.

Il progresso della libertà religiosa a livello nazionale

  • Abbandonare la disinformazione passiva o attiva, la discriminazione e la persecuzione dei seguaci di ogni fede.
  • Riesaminare, abrogare e correggere le leggi che si scontrano con la libertà religiosa, e assicurarsi che corrispondano agli standard internazionali.
  • Preparare la polizia e il sistema giudiziario nel campo della libertà religiosa.
  • Incoraggiare il dialogo fra le istituzioni delle religioni dominanti e le minoranze religiose, in modo da ridurre le tensioni e spronare la mutua comprensione.
  • Sostenere e facilitare il dialogo sulla libertà religiosa con organizzazioni non governative.
  • Educare i cittadini all’importanza della libertà, dei diritti umani, della tolleranza e del rispetto per le altre religioni.

Il progresso della libertà religiosa a livello internazionale

  • Lavorare in vari ambiti per consolidare le normative internazionali riguardo alla libertà religiosa.
  • Istituire commissioni speciali per monitorare gli sviluppi della libertà religiosa in altri Paesi sia a livello regionale sia a livello globale.
  • Emanare istruzioni per presidî diplomatici, affinché sviluppino una maggiore sensibilità per il tema della libertà religiosa.
  • Addestrare diplomatici sui temi della libertà religiosa, perché aumenti in loro la coscienza dei problemi esistenti, e perché siano in grado di trovare giuste soluzioni.
  • Tenere presente il ruolo crescente che la religione svolge nei conflitti interni, chiedendo ad ambasciatori e a ministri degli esteri di comunicare gli sviluppi dei diritti religiosi in altri Paesi.
  • Informare le delegazioni commerciali internazionali del ruolo positivo che possono ricoprire nel proporre la necessità di misure costruttive per la libertà religiosa.